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Foto di Anil sharma da Pixabay

Chi pratica yoga conosce la leggenda di Matsyendra, il Signore dei pesci, Signore delle trasformazioni, che – con il suo allievo Goraksha– dà inizio alla tradizione dei Nath.
Chi pratica conosce bene anche Patañjali, autore degli Yogasūtra, venerato e definito Adi Guru (primo Maestro), ritenuto discepolo, insieme ad altri 6 saggi, del mitico Guru Nandhi Deva, il sacro toro del Signore Shiva 1.
In sole 5 righe sono stati citati 3 Maestri noti e ad altri 6 si è fatto riferimento. Tutti sono identificati come portatori originali della Tradizione. Un buon numero per iniziare!
Nel corso del tempo questi Maestri hanno dato origine, a cascata, a scuole, lignaggi, che ne hanno generati a loro volta altri e altri ancora. In qualche modo sono tutti discendenti da un’unica fonte, ma oggi sicuramente sono troppo numerosi per essere elencati.
La ricerca di una “purezza” in questo variegato contesto risulta piuttosto forzata.
“La parola è come acqua di rivo, che riunisce in sé i sapori della roccia dalla quale sgorga e i terreni per i quali è passata” 2. Ciò che immaginiamo o pretendiamo definire come “acqua pura”, altro non è che il prodotto di una storia fisica, chimica, geologica: l’acqua non è mai la stessa dalla sorgente alla foce, inoltre, per uscire dalla sorgente, è di sicuro passata per la foce.

Tradizione, dal latino tradĕre, vuol dire “consegnare oltre”.
Riportandola al sapere yogico, come ad ogni sapere, corrisponde a quei passaggi continui attraverso cui un soggetto diffonde con cura e precisione un insegnamento appreso – quasi prendendolo per mano – per portarlo un po’ più lontano nello spazio e nel tempo. In seguito il “testimone” (con tutte le implicazioni che questo termine evoca) passa a qualcun altrə, un o una discepolə insignitə dal Maestrə a continuare la trasmissione. Una scelta che implica da un lato unə Maestrə che abbia raggiunto la capacità di cogliere il Principio Trascendente e una totale padronanza di sé -che manifesta come esempio vivente- e che sia in grado di accompagnare altre persone sullo stesso sentiero; dall’altro unə discepolə dotatə di specifiche qualità, di fede/fiducia e devozione che alla domanda “sono capace di essere discepolə?” abbia risposto sì, impegnandosi nel cammino di trasformazione profonda che questo implica e che lə condurrà, sotto la guida amorevole e autorevole del Maestrə
spirituale, ad acquisire quella stessa padronanza, quella maestria di sé e su di sé (perché si può essere Maestrə di se stessi e non degli altrə), che ha visto e vissuto accanto al proprio istruttorə.
Maestria di cui si prenderà il peso e la responsabilità di essere portatorə 3. In questi passaggi c’è un aspetto che rischia di restare invisibile, ma che invece è fondamentale: il sapere si tramanda attraverso persone vive, che nel condurlo, permettono al sapere stesso di restare vivo. Se così non fosse, se non ci fosse un continuo rinnovamento, sarebbe la morte, l’oblio.
Come nel caso dell’acqua, quindi, la Tradizione – Verità eterna, mezzo attraverso cui si intravede il Principio Trascendente – è inevitabilmente anche il prodotto di una storia personale finita che è culturale, sociale, storica, linguistica ed esperienziale 4.

Proprio la percezione, l’esperienza diretta – forse riconducibile a ciò che definiamo onestà intellettuale – è ritenuta da Patañjali la prima fonte di retta conoscenza, a seguire la deduzione, il  ragionamento cioè sulla base di relazioni universali, e la testimonianza ovvero la parola autorevole espressa da chi è degno di fede (Yoga Sutra I, 7).

Anche tradimento deriva da tradĕre, ma vuol dire “consegnare ai nemici”.
Tradizione e tradimento, tramandare e tradire – si potrebbe anche aggiungere tradurre, ma si andrebbe troppo oltre – nascono, come i lignaggi, da un’unica radice. E’ interessante questo gioco di parole quasi a voler sottintendere – o sottolineare – quanto la Tradizione, che è continuità, porti in se stessa i germi del tradimento, che è novità, cambiamento, discontinuità, rivoluzione.
Tuttavia “Facciamo parte di una tradizione anche quando pensiamo di esserne totalmente liberi, quando la ignoriamo, per scelta o per ignoranza, perché essa è una forma di educazione che abbiamo
ricevuto in quanto membri di una specifica comunità, parti di una stessa storia”. 5
Risulta quindi saggio, doveroso e imprescindibile inquadrarsi e riconoscersi in una tradizione, indi sceglierne una. Seguire un insegnamento organico di cui fare esperienza profonda, evitando di saltare da una scuola all’altra poiché questo non produce una reale messa in discussione di sé, “ma un amalgama del tutto personale” 6. Fosse anche solo per rinnegare o distruggere quella stessa tradizione! In realtà poi, quando ciò avviene, la stiamo evocando e rinsaldiamo con essa i nostri legami anziché scioglierli.
Nel caso opposto, quando cioè rivendichiamo la nostra appartenenza ad una tradizione specifica, dichiariamo il nostro intento di perpetuarla, dobbiamo essere in grado di farlo.
In un caso come nell’altro, se non si conosce e non ci si riconosce in una tradizione, mancherà un tassello fondamentale, quello dell’autorevolezza e del senso che all’interno di quella tradizione si tramanda.

La padronanza dei mezzi e la chiarezza dello scopo
Quando ci sforziamo di essere spontanei nel trasmettere ciò che abbiamo appreso, avvicinando cuore e bocca, siamo veramente “sincerə”?
La spontaneità, come la purezza rischiano di essere falsi miti. Più ne siamo consapevoli e meglio è. Se pensiamo di trasmettere una tradizione, una conoscenza, dobbiamo sapere che ci stiamo  assumendo una responsabilità, che in primis dobbiamo impegnarci e studiare e farne esperienza per acquisirla. Se saranno presenti desiderio ardente di raggiungere lo scopo(la Realizzazione); discernimento senza difetti; coraggio e disciplina di ferro; nonché spirito d’iniziativa 7, con il tempo e l’esperienza riusciremo forse a sfiorare il Principio Trascendente e in più disporremo di un tesoro inestimabile: gli strumenti utili a mostrare la strada che anche a noi era stata indicata. Per questo è erroneo, o peggio pericoloso, pensare di poter prescindere da chi ci ha preceduto: ogni modello ha i suoi modelli, ogni Maestrə i/le suoi e le sue Maestrə.
Per il Shamkya, come negli Yoga Sutra, dopo la percezione e il ragionamento, “La testimonianza è il terzo mezzo conoscitivo, definito legittimo insegnamento. Esso è propriamente, non la tradizione o l’insegnamento stesso, ma il prodursi in noi della conoscenza di ciò che dalla tradizione o dall’insegnamento viene espresso” 8.

In questo passaggio la Tradizione e l’Insegnamento si dimostrano essere mezzi finalizzati al prodursi di una conoscenza, scaturita dalla relazione tra docente e discente. Ciò ci riporta alla dimensione vivente di chi insegna e di chi apprende, alla necessità di una corretta dinamica relazionale tra i due, fondamentale perché la Tradizione sia tramandata 9.
Oltre alla comprensione del senso, c’è un ulteriore passaggio: quello che riguarda la tecnica, il rigore, lo stile, che fanno parte a pieno titolo della Tradizione e come tali diventano mezzi imprescindibili. Rispettare i vincoli tecnici ritengo sia un punto di forza, perché permette di esprimere bene i contenuti sostanziali senza eccessi, diventando la tela, non la gabbia, attraverso cui esprimere anche la propria creatività, frutto della vita e delle esperienze vissute ed elaborate. Vincolo cioè come limite necessario, che segna un confine da rispettare, per non perdersi,  ridimensionando l’idea, l’illusione, della libertà totale che può condurre al piatto conformismo, alla perdita del buonsenso e del senso di ciò che si fa e si propone.
Lo sguardo all’inizio è sul dito, poi si impara a guardare e a vedere la Luna.

La capacità di fare buon uso dei mezzi che una tradizione ha scelto, si è data e ha raffinato, diventa allora un possibile modo per esserne parte senza identificarsi né irrigidirsi in essa.
Il rischio che la tradizione si trasformi in una gabbia, spingendoci nello sterile e inutile manierismo o nell’involontaria imitazione, infatti, esiste. L’imitazione, può certamente essere una fase, ma  deve poi lasciare il passo all’autenticità alla piena espressione della propria natura essenziale 10, come hanno ben dimostrato i famosi allievi di Krishnamacharya.
Il rispetto del vincolo risulta però necessario nel nostro contesto, quello occidentale, dove la scelta diretta dell’allievo da parte del Maestrə non è la conditio sine qua non trasmettere. Oggi si studia e ci si diploma presso Scuole di Formazione in cui si rilasciano attestati che abilitano all’insegnamento, il che protegge e garantisce l’utente finale che siano rispettati alcuni principi, a partire da Ahiṃsā, la non violenza, in questo caso il principio del non nuocere, non arrecare sofferenza e, vista la materia, dipendenza.

Continuare a restare in contatto con il/la propriə Maestrə (esteriore e, nel tempo, se ci sarà concesso, interiore) è una grazia che ci preserva dallo scivolare negli inganni dell’ego, che rivendica la sua unicità, mentre nella catena della trasmissione, si è un semplice anello con un luogo e un tempo stabiliti. Non sono nostre le parole, i pensieri. Il sapere è antico e sono gli antichi a parlare da lontano, ci sussurrano all’orecchio a volte in maniera più moderna dei contemporanei. In questo gioco tra vicino e lontano si esplica il rapporto con la Tradizione che non consiste “nel conservare le ceneri, ma nel tenere vivo il fuoco” 11.
La sfida è esprimere in modo nuovo concetti antichi, esprimere in modo antico concetti nuovi – come accade nelle arti dai tempi più antichi. E lo yoga, oltre a disciplina, è anche arte.

Elisabetta Onori

BIBLIOGRAFIA

  1. Come affermato nel Tirumandiram l’opera poetica Tamil scritta nel II secolo b.c.e. (circa) da Thirumular. I versi 67-72 sono dedicati alla gerarchia dei Guru. Qui la versione open access in inglese.
  2. Giorgio Pasquali, Arte Allusiva in “L’Italia che scrive”, 1942, ristampato in Pagine stravaganti di un filologo. Vol. 2, di Giorgio Pasquali, pp. 275-282, 1994.
  3. Patrick Tomatis, La difficoltà di essere allievo, in Percorsi Yoga vol. I, n. 1 (2000) pp. 18-25, traduzione Claudio Conte. Già pubblicato in Revue Francoise de Yoga n. 1, 1990.
  4. Lella Calvino e Claudio Conte, Insegnare Yoga in Occidente in Percorsi Yoga vol. I, 1(2000) pp. 11-17.
  5. Dal discorso di D. Baldi durante la premiazione del Certamen Philelfianum
  6. P. Tomatis, La difficoltà di essere allievo(cit.).
  7. P. Tomatis, La difficoltà di essere allievo(cit.).
  8. Samkhya tattva Kamundi, R. Garbe, Munchen 1892 p. 35 e Samkhyapravacanabhashya, commento di Vijnana, R. Garbe, p. 121.
  9. Calvino e Conte (cit.).
  10. Dal seminario di Patrick Tomatis, La creatività e la trasmissione, Milano, 21-22 novembre 2015.
  11. Appunti dall’intervento di Federico Squarcini al convegno della YANI Le vie dello Yoga, Rimini, ottobre 2013. L’intervento è riportato su Percorsi Yoga, anno XV, n. 65 (2014). F. Squarcini è autore di numerosi libri dedicati al tema dello yoga e delle sue trasformazioni nell’età contemporanea

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