Vorrei provare a trasmettere il mio amore per questa pratica, perché è sì vero che tutti respiriamo ma è altresì vero che il 99% delle volte il nostro respiro è solo un meccanismo automatico di sopravvivenza eseguito dal nostro corpo senza una vera e propria consapevolezza e diciamocelo, dato per scontato. In realtà il respiro porta innumerevoli benefici al nostro corpo, alla nostra mente e di conseguenza al nostro stato emozionale ed è accessibile a tutti. Mentre per la pratica delle asana possono esserci dei limiti fisici che impediscono determinate posture, il Pranayama abbraccia tutti indistintamente e con tempo e costanza nella pratica ci aiuta a vivere una vita più consapevole, più calma ed equilibrata. Questo gioiello a cui inizialmente non viene dato molto credito altri non è che il ponte che collega il corpo e la mente. Potrete notare voi stessi che se la nostra mente è calma, il nostro respiro è lungo e calmo, al contrario se la nostra mente è agitata avremo un respiro corto e agitato.
Abbiamo un tesoro a disposizione dalla nascita e possiamo, anzi dovremmo, utilizzarlo per migliorare la nostra vita. Possiamo placare la nostra mente, possiamo portare più energia al nostro corpo… semplicemente respirando!
Ma, per me non è stato sempre così, il mio approccio iniziale con lo yoga è stato prevalentemente “fisico”, sono sempre stata affascinata dalle asana e dalla loro esecuzione e, in quanto persona dinamica, vivevo con disagio i momenti seduti a gambe incrociate o le varie tecniche di pranayama proposte durante le lezioni. Ujjayi è stato il primo pranayama che ho incontrato nel mio cammino ma c’era sempre l’insegnante a ricordami di praticarlo perché la mia attenzione era più che altro indirizzata sulla “postura perfetta”. Questa superficialità, unita a problemi di salute già esistenti, ha fatto sì che improvvisamente il mio corpo, si bloccasse e mi costringesse quindi a provare a conoscere altri aspetti di questa fantastica disciplina che è lo yoga, ma prima ho dovuto affrontare la frustrazione, la rabbia e infine, finalmente, la resa. Frequentavo ugualmente le lezioni ma l’unica cosa che facevo era stare seduta e respirare. Per mesi non ho fatto altro che questo e piano piano ho iniziato a portare con me Ujjayi, a casa, al lavoro, ovunque. Dopo diversi mesi sono potuta tornare al mio “primo amore” ma con uno spirito e una consapevolezza diversa. Sapevo che il mio atteggiamento nei confronti del mio corpo e nei confronti dello yoga era sbagliato, a caro prezzo avevo imparato che “yoga non è toccarsi la punta dei piedi con le mani” e iniziai a praticare e a muovere il mio corpo con molta più calma ma soprattutto respirando in Ujjayi sempre. Non esistevano più i miei compagni di tappetino, non mi interessava più “superare un mio limite” o eseguire l’asana come una circense, c’ero solo io, con il mio ritmo, con il mio respiro ed è così tuttora.
Tecnica
Ujjayi è una parola sanscrita composta dalle parole “inspirare ed espirare”, preceduta dal prefisso “Uj”, che significa movimento verso l’alto e seguita dalla parola “Jaya”, che significa conquista, vittoria. Pertanto, è tradotto come respiro vittorioso. Attraverso il respiro Ujjayi il torace si espande e si sposta verso l’alto in modo simile a quello di un guerriero vittorioso.
E’ un importante elemento nella pratica degli asana e uno dei principali pranayama .
Ciò che caratterizza l’Ujjayi è la restrizione volontaria dei muscoli della gola, nella zona inferiore vicino alle clavicole, per frenare o meglio ridurre l’entrata e la fuoriuscita dell’aria, azione che ha un effetto bloccante sulla glottide. Questa respirazione implica uno sforzo maggiore nel far penetrare l’aria dato che viene contratta la zona muscolare del collo ed un altrettanto intenso sforzo per farla uscire, creando all’interno della gabbia toracica una modificazione della pressione polmonare.
Il suono che ne deriva è uniforme, continuo e di basso tono il che produce una maggiore interiorizzazione della consapevolezza e una lucidità che espande la presenza mentale, favorendo così il pratyahara (controllo dei sensi). Durante il suo svolgimento la concentrazione va portata verso:
- il passaggio dell’aria in entrambe le narici
- il rumore prodotto dallo sfregamento dell’aria nelle vie respiratorie
Se utilizzato durante la pratica fisica, questa tecnica permette un maggior controllo del respiro abbinato con il movimento, aiuta ad allentare la tensione in delle aree ristrette del corpo, migliora la concentrazione e permette al praticante di rimanere all’interno dell’asana per periodi di tempo più lunghi, produce un effetto riscaldante che aumenta la temperatura corporea e facilita l’allungamento dei muscoli. Se utilizzato come pranayama è un valido aiuto per la preparazione alla pratica meditativa, in quanto calma il sistema nervoso e la mente, rallenta il battito cardiaco e abbassa la pressione sanguigna ed ha quindi un effetto di profondo rilassamento. Aiuta a rimanere “centrati” e a non disperdere energie verso l’esterno, rende più efficienti gli scambi gassosi tra ossigeno ed anidride carbonica, allunga notevolmente le fasi di inspirazione ed espirazione.
Grazie, spiegazione chiara semplice e lineare da poter proporre agli allievi. Qualcuno nei vari corsi mi ha detto che si poteva anche tradurre con le parole con lui che saluta proprio sulla base del fatto che è un respiro sonoro. Comunque dopo oggi utilizzerò queste parole per far capire ai miei allievi come utilizzare questo splendido strumento