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Il Ramayana, insieme al Mahabharata, è uno dei più grandi poemi epici dell’induismo, riconosciuto inoltre come uno dei testi sacri più importanti di questa tradizione religiosa e filosofica.

Il poema è composto da ventiquattromila strofe suddivise in sette libri, di cui il primo e l’ultimo sarebbero delle addizioni posteriori. Il nucleo originario del poema è databile tra il VI e il III secolo a.C., il completamento della sua redazione risalirebbe invece al I-II sec.d.C. ma il materiale storico-mitico della vicenda, gli aneddoti popolari e religiosi appartengono da sempre alla cultura e all’anima del popolo indiano.

La parte centrale dell’opera (libri II-VI) sembrerebbero per omogeneità di stile e coerenza di contenuto appartenere ad un unico autore, che la tradizione ha sempre riconosciuto nel saggio Rishi Valmiki.

Valmiki è anche protagonista dell’opera e racconta le avventure del principe Rama – sovrano ideale, guerriero valoroso, modello di tutte le virtù e incarnazione di Viṣhnu – ingiustamente esiliato e privato della sua sposa Sita, che tuttavia riconquista dopo furiosi combattimenti, insieme al trono negato.

Gli eventi sono ambientati nel momento di passaggio tra la fine del Treta-yuga e l’inizio dello Dvapara-yuga (secondo la religione induista, tra la fine della seconda e l’inizio della terza era di evoluzione del mondo).

Rama, principe ereditario del regno dei Kosala, viene privato ingiustamente del diritto al trono ed esiliato dalla capitale Ayodhya (collocata nei pressi dell’odierna Faizabad). Il principe trascorrerà quattordici anni in esilio, insieme alla moglie Sita e al fratello Lakṣmaṇa, dapprima nei pressi della collina di Citrakuṭa – dove si trovava l’eremo di Valmiki e di altri ṛṣi – e in seguito nella foresta Daṇḍaka, popolata da molti demoni (rakṣasa). Qui Sita viene rapita dal crudele re dei demoni, Ravaṇa, che la conduce nell’isola di Lanka.

Rama e Lakṣmaṇa si alleano quindi con i Vanara, potente popolo di scimmie divine, e insieme ai guerrieri scimmia – tra i quali troviamo il valoroso e fedele Hanumat – costruiscono un ponte che collega l’estremità meridionale dell’India con Lanka.

L’esercito affronta l’armata dei demoni, e Ravaṇa viene ucciso in duello da Rama, che torna vittorioso nella capitale Ayodhya, e viene incoronato re.

Rama, per rispettare il dharma, è costretto a ripudiare Sita, a causa del sospetto che abbia ceduto alle molestie di Ravana. Per dare prova della sua purezza, Sita accetta di sottoporsi alla prova del fuoco uscendo indenne dalle fiamme.

La storia di Rama e Sita e delle prove dolorose che essi dovettero affrontare per raggiunger la piena maturazione e uno stato di realizzazione e felicità rimane affascinante perché rappresenta un eco fedele della vita umana e delle scelte – a volte difficili – che tutti noi dobbiamo prendere durante la nostra esistenza.

Il tema dell’esilio si ripresenta qui, come nel Mahabharata, come un periodo (a volte lungo della vita) in cui necessariamente ci si perde nella foresta delle proprie rappresentazioni inconsce e del propri demoni interiori. Forze alleate e profondamente benefiche aiutano l’eroe o l’eroina lungo il cammino, materializzandosi come amici fedeli e coraggiosi, forza d’animo e improvvise rivelazioni. I personaggi che si muovono e agiscono in questo poema sono umani nelle loro emozioni spesso contrastanti, hanno momenti di sconforto e perdono la fiducia, per poi risollevarsi e tornare a combattere – proprio come accade nella vita di ogni essere umano.

La battaglia che da sempre si compie tra forze benefiche e demoniache  ha lo scopo di temprare il carattere, eliminare il superfluo e rendere determinati alla vittoria. Un lungo, doloroso itinerario di formazione attende chi vuole conquistare il proprio animo e rendere manifesta la propria parte divina – per far emergere la propria regalità si deve prima rinunciare a tutto, diventare asceti e dominare le proprie passioni.

Hanuman è l’emblema della devozione senza condizioni, pronto a donare tutto per il bene dell’amato e, forte di questo sentimento, diviene invincibile.

L’esilio, il rapimento e la separazione sono eventi utili per conoscersi e crescere interiormente, superare i propri limiti e prepararsi al riscatto che attende chi prosegue determinato verso la meta – tutto questo senza discostarsi dal dharma, che comprende fede alla parola data, amicizia, lealtà, amore.

Il protagonista Rama viene descritto – attraverso lo stile elegante e raffinato di Valmiki – come modello di tutte le virtù e campione del dharma.

Il dharma è infatti un tema centrale nel componimento e in questo senso Rama non è solo il protagonista del componimento, bensì il nome dato ad un codice di comportamento morale, religioso, politico, e sociale che appartiene ad una fase precisa della civiltà indiana. Così che il poema ramaico trasmette – attraverso il fulgido esempio di Rama e Sita come archetipi di perfezione e di adesione al dharma – un modello di condotta morale ed etica da imitare e interiorizzare.

La storia di Rama e Sita è ancora oggi amata in tutta l’India per la sua intramontabile suggestione e per l’universalità dei suoi valori.

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