“Riguardo all’evoluzione è necessario comprendere fin dall’inizio che non esiste possibilità di una voluzione meccanica. L’evoluzione dell’uomo è l’evoluzione della sua coscienza, e la Coscienza non può evolvere inconsciamente. L’evoluzione dell’uomo è l’evoluzione della sua volontà, e la Volontà non può evolversi involontariamente. L’evoluzione dell’uomo è l’evoluzione del suo potere di fare e “Fare” non può essere il risultato di ciò che “accade.”
– G.I.Gurdjieff
Georges Ivanovič Gurdjieff, di origine greco-armena, è stato un personaggio a dir poco singolare del XX secolo. Filosofo, scrittore, mistico, esoterista, musicista e “maestro di danze” condensò tradizioni religiose ed esoteriche antiche, in un unico insegnamento denominato Quarta Via. Forniva metodi pratici attraverso cui i suoi allievi potevano, applicandosi a tecniche psicofisiche e meditative, facilitare il superamento degli automatismi psicologici ed esistenziali favorendo uno sviluppo armonico dei centri fisico, emotivo ed intellettuale. Fondò una scuola per lo sviluppo spirituale chiamata “Istituto per lo sviluppo armonico dell’uomo” che in seguito, a Parigi, prese il nome di “Institut Gurdjieff”.
Gurdjieff usava proporre la metafora della carrozza per far comprendere come ognuno di noi sia realmente poco vigile a se stesso e soggetto continuamente a condizionamenti di cui non è cosciente. Nel suo libro “Vedute sul mondo reale”, paragona l’essere umano ad un veicolo con un viaggiatore a bordo. Il veicolo è una carrozza che rappresenta il corpo fisico, trainato da cavalli che simboleggiano le emozioni, guidato dal cocchiere che impersonifica la mente, mentre il passeggero è l’anima o la coscienza.
La nostra attenzione vada al passeggero. Se questo è dormiente e lascia che a guidare siano il cocchiere e i cavalli, quindi la mente e le emozioni, non potrà mai essere il vero padrone del proprio corpo fisico e nel suo agire, sarà sempre condizionato da “altro”. La mente andrà dietro a qualsiasi pensiero, molto spesso, ahinoi, poco utile e le emozioni prenderanno il sopravvento ogni volta che verranno risvegliate da esperienze che richiamano schemi comportamentali e credenze che si sono instaurati in noi da tempo. Tutto ciò risiede nel nostro inconscio che registra e memorizza, automatizza e cresce, ma nell’esperienza vissuta, non in quella da fare. Per questo è importante che il passeggero sia cosciente, vigile e presente, per poter dare indicazioni al cocchiere affinché quest’ultimo sappia guidare i cavalli dove lui desideri davvero andare.
Dobbiamo sostanzialmente riprendere il controllo della carrozza. Dobbiamo aprire il nostro sguardo interiore, svegliarci, osservare il cocchiere, ascoltare i suoi comandi e individuarne l’origine, comprendere se ci siano utili o no. Dobbiamo restare vigili e osservare i cavalli, vedere come e dove vanno e capirne il perché. Dobbiamo tornare ad essere uomini coscienti e consapevoli, capaci di stare nel “qui ed ora” sapendo di esserci nel “qui ed ora”. Dobbiamo imparare a rendere ubbidiente la mente e a padroneggiare le nostre emozioni, questo per far fiorire il nostro essere attraverso una piena manifestazione di sé.
Se ci soffermiamo un attimo ad osservare i nostri pensieri, in un qualsiasi momento della giornata, magari mentre stiamo guidando, possiamo renderci conto non solo della quantità, ma della qualità di quest’ultimi… Possiamo anche renderci conto di quali siano le emozioni che li sostengono o che, in alcuni casi, ne permettono il comparire.
Probabilmente tra le innumerevoli resistenze interiori al manifestarsi della nostra volontà o ancor meglio, della nostra anima, che la mente e le emozioni, collaborando indisturbate in maniera persistente sono riuscite a creare, quella più grande è l’orgoglio nella sua accezione negativa.
Un eccellente antidoto all’orgoglio può essere la pratica delle “prostrazioni”.
Le prostrazioni sono posizioni di devozione, ove l’Io tende alla resa per accogliere qualcosa di più grande e divino. Se si è fatto spazio in noi, quietando la mente e le nostre emozioni, se realmente siamo liberi da blocchi e credenze tanto fittizie quanto arroganti di predominio di noi stessi sul mondo e sul prossimo, allora questa posizione ci risulterà comoda e facile da mantenere. Nel caso in cui al contrario, il nostro ego continui a imporre la sua presenza, allora le sensazioni derivanti da tale posizione potrebbero essere poco piacevoli richiamando in noi un senso di sottomissione e oppressione.
L’arroganza è il principale ostacolo all’acquisizione di una sana spiritualità.
Si tratta di saper riconoscere i propri limiti, di comprendere con essi i punti di forza e di ampliare i confini delle nostre possibilità.
Le posizioni di prostrazione non vanno viste come atti di sottomissione forzata a dogmi imposti da qualcuno o qualcosa a cui altri al di fuori di noi hanno dato potere, esse al contrario sono l’atto che compiamo quando riconosciamo pienamente il nostro “essere nel mondo ma non del mondo”, quando sentiamo in modo chiaro di provenire da un Universo, macrocosmo, che ci contiene e in noi si rispecchia in ogni Sua parte. In questo “contesto”, essere umili e portare rispetto dovrebbero farci sentire in armonia con il Tutto, predisponendoci verso un sincero stato di gratitudine e riconoscenza.
La posizione devozionale per eccellenza e la “posizione della foglia caduta” il cui nome sanscrito corretto è “dharmikāsana”, ovvero “posizione del virtuoso”.
L’aggettivo dharmika deriva dal sostantivo Dharma (in sanscrito धर्म, dharma;) che a sua volta deriva dalla radice sanscrita dhṛ traducibile in italiano come “fornire una base”, ovvero come “fondamento della realtà”, “verità”, “giusto”, “come le cose sono” oppure “come le cose dovrebbero essere”.
Nella sua forma più antica, dharmāṇ, il termine compare per la prima volta nel Rgveda collegato alla nozione di Rta (in sanscrito ऋत, ṛta) e alle due divinità di Mitra e Varuna. Dai testi si evince come l’ordine cosmico (Ṛta) e ciò che ‘sostiene’ l’intero mondo (Dharma), siano protetti sia dall’azione degli dèi (deva) sia dai riti cerimoniali degli uomini. Dharma viene dunque a significare “coerente con l’Universo”.
Al raggiungimento completo della “posizione della foglia caduta”, ci si ritrova raccolti come un feto nell’utero materno, ed è così che ci si deve sentire, protetti all’interno di un corpo che ci contiene e di cui siamo parte.
Respirando lentamente, in presenza, nel qui e ora, alla guida della nostra carrozza, contemplando le nostre paure, rafforzando il nostro coraggio, guidando la nostra mente che più non può di fronte all’Infinito che ci accoglie e trova spazio in noi per insorgere.