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La Bhagavad Gita è un testo sacro fondamentale della tradizione spirituale indiana. Nella versione commentata da Paramhansa Yogananda si affronta il cammino della ricerca spirituale dell’individuo e della sua lotta quotidiana contro ciò che impedisce di avere le qualità positive di autocontrollo, calma interiore e capacità di discernimento.

E’ interessante il commento di Yogananda rispetto al tema delle cattive abitudini, così come scritto nei versi Secondo e Terzo del Canto dello Spirito, in cui si legge: “Sanjaya disse: Allora l’imperatore Duryodhana (Re Desiderio materiale), dopo aver visto le armate dei Pandava schierate in battaglia, cercò rifugio dal suo precettore Drona (abitudine) e così gli parlò: Maestro, guarda questo grande esercito dei figli di Pandu (pura intelligenza discriminativa derivata dalla meditazione), schierato in ordine di battaglia dal figlio di Drupada (estrema calma e imparzialità), tuo discepolo di grande talento.”

Questi versi, così come tutta l’opera, narrano di una lotta su un campo di battaglia su nomi in sanscrito che corrispondono alle facoltà dell’essere umano. Nell’uomo comune dominato dai sensi, spesso la facoltà di discriminare e l’introspezione rimangono intrappolate dalle armate dei soldati dei sensi restando così inattuate. Non appena l’uomo cerca di recuperare la sua facoltà di discernimento attraverso la meditazione e l’introspezione, allora Re Desiderio gli tende una trappola mostrandogli la forza dell’abitudine. Chi non medita è governato dal desiderio materiale. Non appena però il devoto cerca di meditare, spesso è tentato dal ricordo della cattive abitudini passate che lo pongono in stato di agitazione. Le armate delle percezioni spirituali (Pandava) sono la calma, la vitalità, l’autocontrollo, e sono localizzate nei plessi spinali e nel cervello. Dato che l’individuo riesce a focalizzarsi molto più facilmente sulle periferie del corpo si identificherà con le cattive abitudini provocate dalle sensazioni del palato, benessere fisico e pigrizia, dolci e belle parole per il canale uditivo, ma spesso adulatorie e lontane dalla verità, e infine, dalla seduzione delle cose belle. Chi cede ai piaceri dei sensi con perfetto autocontrollo godrà di qualcosa di beatifico al contrario di chi ne è schiavo.

La meditazione è l’unica via per giungere alla chiara luce e calma interiore e fare in modo che anche le abitudini meccaniche di tutti i giorni possono farci sostituire la noia, l’infelicità, con la gioia. C’è sempre modo di contrastare le cattive abitudini con le schiere dei soldati delle buone abitudini. Il frutto delle meditazioni sarà sempre in soccorso di chi pratica. I nomi sanscriti dei soldati psicologici descritti nella Bhagavad Gita sono gli stessi descritti nello Yoga di Patanjali in termini metafisici. La Bhagavad Gita, invece, è una esplicazione allegorica.

L’introspezione dello Yogi che alla fine porta al dharma (risveglio), avviene attraverso la lotta tra diversi soldati che potrebbero sintetizzare il concetto che abbiamo oggi di bene e male. E’ facile scendere dalla montagna, si legge in queste pagine, il problema sta nel risalire. Questo accade quando si intraprende la strada del male, diventa doppiamente difficile ritornare indietro. Ci vogliono dai Cinque agli Otto anni per sostituire una abitudine negativa con una positiva, si legge nei commenti di Yogananda. Per rifuggire dalle cattive abitudini bisogna evitare luoghi e ambienti che ci avvicinavano all’abitudine negativa. Il cambiamento dell’ambiente è fondamentale fino a quando la nostra parte subcosciente non diventa completamente consapevole dell’abitudine da evitare.

La meditazione e gli esercizi di respirazione sono, quindi, gli unici strumenti per combattere le false illusioni, una vita basata sull’ego e sugli attaccamenti alle cose materiali. Possiamo così risvegliare Bhima, la forza del controllo sul respiro e la forza vitale che ci porta alla coscienza combattendo Bhishma, l’ego identificato con il corpo.

Sabrina Sannelli

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