“È sulla via dello yoga che la gratitudine e la contentezza hanno trovato in me il suo respiro: Santosha. Dalla contentezza la felicità suprema.”
— Yoga Sutra, II.42
Patanjali lo racconta proprio nei suoi Yoga Sutra.
?ンリᄁ?ンリᄉ?ンリᄡ?ンリᄁ il secondo Nyama.
?ンリᄁ? ~ completamente o del tutto /
?ンリᄚ?ンリᄅ?~ contettezza o accettazione.
Essere del tutto appagati, completamente soddisfatti.
Santosha. Una parola che nelle ultime settimane ha vibrato spesso nel mio corpo, nella mia mente, nel mio respiro. Diffido del positivismo assoluto e artefatto, la vita però ci offre instancabilmente occasioni per cui essere grati. La contentezza. Implica un senso di gratitudine per il momento e per il modo in cui stanno le cose. Una sensazione di appagamento.
Come un muscolo che ha bisogno di essere rafforzato e allungato attraverso ripetizioni, come scrivere un diario o come pregare. Sviluppare il muscolo della contentezza significa trovare un equilibrio tra apprezzare il punto in cui ci troviamo in questo viaggio e lavorare con passione verso la nostra visione. Ogni giorno siamo invitati a prendere decisioni sussurrate segretamente dalla voce del cuore.
In ogni respiro c’è Santosha. In ogni gesto. In ogni Asana. In ogni pensiero.
Senza fingere per questo di essere contenti, senza desiderare ciò che gli altri hanno; consapevoli di non poter controllare tutto ciò che accade, ricordandoci sempre, o quasi, di accogliere il meglio da ogni situazione, ogni emozione che si presenta, senza reprimerla, diventando architetti della nostra felicità.
Nello yoga Santosha può rivelarsi attraverso la pratica corporea accettando sé stessi e accogliendo i limiti del proprio corpo e oltre, non come ostacoli piuttosto come quel qualcosa che ci regala consapevolezza, facendoci sentire incarnati, sperimentare in modo minuzioso e profondo, senza chiedere al giudizio.
Coltivare gratitudine è entrare in dialogo con se stessi, dare spazio a ciò che quotidianamente rischia di essere ignorato. Va oltre al semplice essere riconoscenti per ciò che fluisce nella nostra vita, è cercare di sperimentare la quiete quando la tempesta si fa spazio.
Non c’è nessun risultato da raggiungere e nessun asana da praticare perfettamente.
Quando ci capita di non accontentarci è il nostro ego a parlare (asmita) che vorrebbe sempre di più e non è mai soddisfatto.
La contentezza è una condizione duratura, che si vela in una sottile sensazione di soddisfazione e nutre la gratitudine nei confronti della vita.
La felicità nasce da una sensazione fugace di piacere e può scaturire sia da eventi esterni che da eventi interiori.
Che si tratti di una posa yoga o di una situazione di vita impegnativa, si può imparare a trovare la pace interiore con ciò che è, esattamente così com’è.
Santosha ci richiede di esplorare i nostri valori più profondi e di vivere secondo le nostre possibilità trovando la ricchezza nella semplicità.
L’abbondanza vive nella celebrazione, nella benedizione, nella consapevolezza che dare è ricevere. L’abbondanza è scegliere di accogliere.
Ricordarsi di benedire – dire bene – del proprio corpo, di se stessi, anche degli altri, perché le parole, così i pensieri, sono come finestre, citando Marshall Rosenberg.
Non è semplice essere grati, ma ho imparato a farlo qualche anno fa, quando lo yoga ha invaso la mia vita e ho deciso che non volevo vivere in bianco e nero, rinvenendo così l’incanto per la semplicità.
Santosha.
PRATICA DELLA GRATITUDINE
Se già non è tra le tue pratiche quotidiane, potresti rodare la Pratica della Gratitudine. Crea il tuo Diario della Gratitudine ed ogni sera prima di andare a dormire, quando ormai il silenzio regna sovrano, prova a scrivere almeno una cosa per cui ti senti gratæ. Una parola, un’emozione, un sorriso ricevuto, un momento che si è rivelato prezioso. Osserva cosa accade nel tempo e come cambia la tua percezione della vita.