Da non molto, un amico, un compagno fedele dalla presenza forte, ma mai ingombrante, un amico che nei momenti di ricerca di grande silenzio riusciva a restarmi accanto permettendomi di unire il mio respiro al suo così da ritrovare la calma necessaria a diradare le nebbie del “mondo delle cose” e con essa la volontà a realizzare la mia propria “entelechia” (greco antico ἐντελέχεια), il mio personale germe di vita, è passato oltre. Lo ha fatto lasciando tracce indelebili di sé… La sua assenza ne è la testimonianza più evidente. Si chiamava Zack ed era uno dei cani di famiglia. E’ stato con noi 13 anni e durante questi, pur essendosi adattato agli usi e costumi degli umani, acquisendo una buona educazione comportamentale di convivenza con gli stessi, non ha mai perso la sua natura, non si è mai umanizzato mantenendo vivi i suoi istinti innati come quello predatorio o della conservazione della specie. Era sorprendente quando questi si manifestavano perché ogni volta si restava sconcertati dato che l’ordine, l’armonia di accordi a cui ci si era uniformati, veniva completamente stravolta.
Noi uomini siamo sempre sopraffatti dall’assistere ad azioni che reputiamo violente anche se siamo capaci di compierne d’indicibili…
Ciò non toglie che Zack fosse un essere capace di porsi in ascolto e di comprendere pienamente l’essenza di questa realtà, seppur certamente dal “suo punto di vista”, tra il visibile e l’invisibile nella quale siamo tutti immersi.
Giocava molto tanto da essere, a volte, estremamente disturbante. Aggressivo nei confronti di qualsiasi altro essere animale “non riconosciuto” che invadeva il suo territorio, rispettoso verso gli uomini, con la dovuta circospezione. Quando mia figlia era piccola, le si manteneva a distanza e se lei gli porgeva una fetta di pane, lui le si avvicinava cautamente e agganciava il cibo dalla parte più esterna portandola via delicatamente.
E anche in questo appariva straordinario, perché noi uomini siamo sempre sopraffatti dall’assistere ad azioni che riconosciamo come amorevoli anche se siamo capaci di compierne d’incredibili.
Comprendere che l’Universo includa ogni cosa in molteplici forme e dimensioni in cui sia possibile rintracciare prove tangibili e legittime sia del bene sia del male, di luce e oscurità, che ogni essere in quanto tale ha un sua funzione e un suo valore in senso assoluto è quanto di più difficile da accettare per gran parte di noi…
La coscienza trascendente di Dio che pervade ogni cosa è pura, eterna e immutabile, è lì che la materia e la forma non esistono e il mondo fenomenico non si esprime. E’ l’Universale, oltre il Demiurgo, a essere assoluto e impersonale ed è in Esso che la dualità viene meno, ma qui Noi ci siamo incarnati per viverla questa dualità, per comprenderne l’essenza e l’importanza, per compiere la funzione fondamentale del fare da bilancia, di essere l’elemento equilibratore proprio tra quelle forze antitetiche, ma entrambe utili e giustificate, che muovono il compiersi dell’evoluzione cosmica. E’ fondamentale comprendere fino in fondo la natura di quanto riusciamo umanamente ad accogliere in noi, fino a poter rientrare nella consapevolezza piena della forza generatrice.
Dobbiamo partire semplicemente da ciò che abbiamo, da chi siamo. Dobbiamo superare la nostra più grande paura, quella di riconoscere i nostri sacrosanti limiti e di accettarne i confini. La via più semplice e la meno faticosa, quella che solitamente scegliamo, ci porta paradossalmente solo verso quel che è familiare, rassicurante e ahinoi, allo stato attuale delle cose, più lontano dalla meta. Tendiamo per tale ragione a voler cambiare noi stessi, le cose, le altre persone, gli animali, a rendere simile il dissimile, tanto da fargli perdere la sua vera identità, piuttosto che vedere quel che non ci piace, accettarne i contenuti e soprattutto comprenderne il senso. Solo così potremmo forse trovarci nella condizione migliore per poter discernere con accuratezza e grazie a tale capacità di sano giudizio, saper proteggere quel che va protetto e contrastare quel che lo distrugge. Giunti a permettere delle trasformazioni che mancano totalmente di rispetto per lo stato naturale dell’essere “umano-animale-vegetale” siamo spinti oltre il limite, ove si va in dissolvenza, ove per avere tutto non si avrà più nulla. Nessun genere, nessuna identità, nessuna cosa…
“You’ll own nothing. And you’ll be happy” ovvero “Non avrai più nulla e sarai felice”. Dal non avere più coscienza di quello che si è, al non avere più nessun tipo di proprietà il passo è davvero breve e così, giusto per non incorrere in incomprensioni, NO, non lo considero una bella cosa proprio come di chi ha coniato il suddetto slogan che furbescamente lo applica agli altri, ma non certamente a se stesso. “Tu, non avrai più nulla…”.
Si deve mantenere l’attenzione su ciò che accade, è necessario studiare per poter avere una visione che vada oltre le apparenze ed esser pronti a vivere in presenza gli accadimenti esterni comprendendo il nostro comunque esserci all’interno.
Siamo chiamati a risintonizzarci sulla nostra vera natura, quella che ci vede diversi gli uni dagli altri, capaci di azioni onorevoli come di quelle più ignobili, ma che ne riconosce quantomeno i contenuti e le motivazioni.
Spesso, anche nel mondo delle discipline olistiche, ci si addomestica e si addomestica incautamente il prossimo per circoscriversi uno spazio di azione che tenga al sicuro da quel che non piace e/o spaventa rischiando di ridurre l’importanza di quel che accade nel mondo fuori, se non addirittura volutamente ignorandone degli aspetti fondamentali. Viene così meno quel sano senso di responsabilità che dovrebbe caratterizzare un’evoluzione consapevole. Il rischio in cui si incorre è che si confonda l’elevazione spirituale con il distacco dalla realtà. Non può essere così, si può “essere nel mondo, senza essere del mondo” sì, ma Colui che lo diceva ha vissuto pienamente nella carne e si è infiltrato nell’anima delle cose materiali in modo denso e impetuoso. La vita va vissuta e non si può sfuggire da essa per illudersi di godere solo di ciò che più ci aggrada. Uomini e donne di grande valore che si sono susseguiti nella storia hanno sempre lasciato segni profondi del loro passaggio, gli stessi segni che in vita hanno letteralmente segnato la loro carne.
Torniamo a Zack, al suo essere un cane, un animale capace di quell’impulso naturale chiamato istinto che gli permetteva di compiere azioni utili alla sua salvaguardia. In noi esseri umani tale istinto è presente e è modulato dalla ragione, ma se questa viene completamente stravolta allora, per la nostra sopravvivenza, forse si dovrebbe tornare a fare appello prevalentemente al primo…
Nella mitologia antica indiana, il cane non è rappresentato come “semplice” amico fedele, ma è una creatura fiera e maestosa, agile e pericolosa.
Le divinità indù posseggono un vahana, l’animale da loro usato come veicolo. Il Vahana o vahanam (in sanscrito: वाहनम्) rappresenta sia l’energia connaturata nel dio, sia quella che può trasfondere. Il cane – svana – è il veicolo della divinità Bhairava (in sanscrito:भैरव, “terribile, spaventoso”) che rappresenta un’ipostasi di Shiva, la sua manifestazione feroce associata all’annientamento e alla protezione.
Bhairava è solitamente raffigurato con volto accigliato con occhi pieni di ira, denti di tigre e capelli fiammeggianti; completamente nudo eccetto una ghirlanda di teschi e un serpente arrotolato al collo. Nelle sue quattro mani porta un cappio, il tridente, un tamburo, e un cranio, mentre cavalca un enorme cane. Bhairava è nato da una conversazione tra Brahma e Vishnu, descritta nello Shiva Purana. Quando Brahma, in un atto di arroganza, dichiarò di essere il creatore supremo, Shiva creò Bhairava per punirlo. Bhairava decapitò una delle teste di Brahma, distruggendo in tal modo la forza dell’ego.
I cani sono creature forti, agili, carnivore e pericolose, feroci e sanguigne. E’ questa natura che gli permette di essere degli straordinari cacciatori e allo stesso tempo dei guardiani protettivi del territorio, della prole, di chi amano. E’ la stessa identica forza che opera.
Bhairava rappresenta la protezione contro i nemici interiori come la paura, l’avidità, la lussuria e la rabbia. Per addomesticare un cane occorre prima metter da parte ogni timore, conoscerne e accettarne la sua vera natura, così come per addomesticare la nostra collera, ne dobbiamo prima accettare la presenza, conoscerne l’origine e comprenderne il profondo senso, perché certamente non giunge senza un motivo… Va posta attenzione a ciò che l’istinto vuol tutelare e compresa l’origine dell’emozione che l’accompagna, compiere l’azione più equilibrata che tiene conto di entrambi.
La duplice natura del cane e le sue diverse qualità trovano espressione nelle due posizioni yoga:
- Urdhva Mukha Svanasana (Cane a testa in su): la testa è rivolta verso l’alto, il petto è aperto, l’aspetto selvatico si esprime attraverso la disponibilità del cuore e l’energia vitale che fluisce attraverso il corpo. É una posizione che richiede forza nelle braccia e nella schiena, stessa forza necessaria a superare le difficoltà e gli ostacoli che porteranno a un nuovo inizio come dimostrato dal dinamismo e l’espansione del corpo verso l’alto.
- Adho Mukha Svanasana (Cane a testa in giù): la testa è rivolta verso il basso, è una posizione di raffreddamento, simboleggia l’ umiltà e la devozione. La posizione del corpo a forma di “V” invertita con mani e piedi ben radicati a terra conferisce stabilità e fondamento. L’allungamento della colonna vertebrale e delle gambe permette il rilascio delle tensioni e la ricerca di equilibrio e armonia.
Lo Yoga ha in sé un grandissimo potere di trasformazione che è possibile mettere in atto a partire da una profonda conoscenza e accettazione della nostra vera natura. Eseguire le posizioni del cane nella piena comprensione del ruolo mitologico di Bhairava e il significato simbolico del cane, può aiutarci a essere uomini migliori che apprezzano e sanno rispettare la propria natura e quella degli altri esseri senza sentire la necessità di alterarne l’essenza.
In questo momento di grande confusione l’invito è quello di tornare a essere umani che credano e sappiano di esser tali, ove istinto e ragione trovino sempre spazio in un cuore capace di accoglierli e di porsi in ascolto del loro dialogare.