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Non è un mistero l’intimo afflato dello yoga con l’ambiente acquatico: mare e oceano sono le metafore più utilizzate negli antichi testi della tradizione. La stessa leggendaria origine dello yoga ha come protagonista un pesce, Matsyendra. Ripercorriamo un momento questa mitica narrazione per tornare alle origini, da dove tutto procede, per farne poi ritorno con rinnovato entusiasmo e consapevolezza.

Negli antichi testi vedici si narra che Shiva insegnasse alla sua consorte Parvati le tecniche yoga, in una splendida spiaggia sulle sponde dell’oceano. Un giorno un pesce particolarmente curioso, fu attratto dalla voce melodiosa di Shiva, sentì un forte richiamo e si approssimò alla riva tanto quanto necessario per osservare e ascoltare gli insegnamenti. Il pesce iniziò a mettere in pratica quei metodi con perseveranza e diligenza finché un giorno accadde qualcosa di eccezionale: il pesce si trasformò in uomo, sarebbe a dire, fece un balzo evolutivo cambiando la specie. Da animale ad essere umano. Da quel momento in poi, Matsyendra (questo il nome successivamente assegnato al “pesce che diventa uomo”) continuò a tramandare egli stesso gli insegnamenti yoga. Un altro dettaglio, secondo il racconto di B.K.S. Iyengar è che, quando Shiva si accorse che il pesce aveva imparato lo yoga, lo cosparse di acqua. Il pesce allora assunse una forma divina trasformandosi in Matsyendra, il padrone dei pesci (matsya = pesce, indra = padrone) e cominciò a diffondere la saggezza dello yoga. Da pesce a uomo e da uomo a dio: il ciclo evolutivo si completa con un “battesimo” d’acqua di mare.

Nel Sutra 47 del famoso trattato di Patanjali, testo classico di riferimento dello Yoga, si evoca “anantasamapattibhyam” traducibile come “incontro con l’infinito”. Tale incontro può essere agevolato grazie a un’attitudine particolare: Mahahradanusamdhana, ovvero un “sentimento oceanico” che consiste nel “percepire sé stessi come un’increspatura o una goccia d’acqua nel vasto oceano dell’essere, durante il mantenimento dell’asana”. (cit. M.M. Gore, Anatomia e fisiologia delle tecniche yoga).

La metafora della goccia o dell’onda (l’Io individuale) riassorbita nell’infinità oceanica (il Sé universale) arricchisce i testi della tradizione vedantica con ridondanze impossibili da non notare e suggestive immagini poetiche. “La zattera per attraversare l’oceano del samsara” è sempre pronta a traghettarci in acque dalle profondità abissali.

“Sotto ogni onda c’è l’oceano,
sotto ogni nome c’è il substrato,
sotto ogni apparenza ci sei tu.
Se non dimentichi chi sei,
questa apparenza è la danza cosmica.”
(Poonja, il Vuoto che Danza)

C’è un luogo dove poesia e scienza si incontrano ed è lo Yoga. E il luogo ideale per questo incontro sembra essere proprio il mare! Specie all’alba e al tramonto, i momenti del Brahma Muhurta, più armoniosi, sattvici, equilibranti.

La vicinanza con l’acqua salmastra, il suono emesso dall’infrangersi delle onde, lo sconfinamento dell’orizzonte in distese cromatiche con prevalenza di blu in tutte le sue sfumature, producono un effetto calmante e rigenerante definito a più voci “Mente Blu” (è possibile trovare molti libri di riferimento a tal proposito, uno su tutti “Blue Mind mente e acqua, il legame nascosto tra l’acqua e la nostra mente”, di Nichols Wallace J.). L’attivazione di sensazioni calmanti e piacevoli è dovuta al rallentamento dell’attività corticale legata al sistema nervoso simpatico che l’attitudine contemplativa e “meravigliosa” (di stupore) stimolata dal mare produce quasi spontaneamente. Il sistema nervoso simpatico è quella parte del sistema nervoso centrale che è responsabile delle reazioni di spavento, lotta, fuga, attacco-difesa, mentre il parasimpatico governa il rilassamento, oltre alla respirazione e alle funzioni digestive. È proprio su quest’ultimo che lavora e agisce principalmente la pratica yoga, specie se approcciata nel modo corretto. Sappiamo infatti che, quando gli asana vengono praticati nella giusta condizione di rilassamento muscolare, ovvero senza forzare e senza opporre resistenza, con lentezza enfatizzando l’interiorizzazione più che la prestazione, la respirazione consapevole e la “caduta della mente nel corpo”, si entra in un profondo stato di quiete e rilassamento fisico, emotivo e mentale. La componente passiva, ricettiva dello yoga è accentuata rispetto a quella attiva, isotonica, dinamica, propria delle attività ginniche. L’attività neuromuscolare si svolge in modo dolce, lasciando cadere ogni sforzo volontario, la tensione nei muscoli, nei legamenti, nelle giunture e nei tendini viene ridotta al minimo se non eliminata totalmente. Si fluisce in un mare di sensazioni e quando si vede il mare, di solito, è sempre un momento di meraviglia, di spaziosità, di respiro.

“Tu non sei una goccia nell’oceano: tu sei l’intero oceano in una goccia” (Rumi)

A proposito di respiro, anche la qualità energetica della pratica in riva al mare viene agevolata al massimo. L’assorbimento dell’energia vitale (Prana) si amplifica grazie alla presenza degli ioni negativi i quali, in natura, si generano quando le molecole dell’aria vengono spezzate dalla luce del sole o dal movimento dell’aria e dell’acqua, e sono dunque abbondanti in prossimità di spiagge e cascate. Aria non solo pulita, dunque, come è possibile respirare in tutti i luoghi di natura selvaggia, ma anche ionizzata grazie al “battesimo dell’acqua”. Con il pranayama e l’espansione della respirazione ci si riempie al massimo dell’aria curativa di mare: inalando una soluzione ad alta concentrazione salina si aiuta a migliorare la funzionalità polmonare, e questo la talassoterapia (dal greco thalassa, “mare”) lo sa bene da tempo immemore.

“Naufragar in questo mare”, dunque, “è dolce” non solo per simpatia poetica: c’è una connessione stretta tra perdita del senso dell’io personale (ahamkara), ampliamento del respiro e contemplazione dell’infinito, proprie della pratica yogica, e il rallentamento dell’attività corticale che avviene in presenza dello sciabordio delle onde (il cosiddetto “rumore bianco” non estraneo alla respirazione Ujjayi Pranayama), del profumo di salsedine e di un orizzonte dalle mille sfumature di blu, colore dalle proprietà calmanti e rinfrescanti, nello yoga collegato al quinto chakra, (Vishuddha), centro energetico della gola, rappresentante della profondità e dell’intuizione, della comunicazione e creatività, ma anche della libertà, purezza, lealtà, chiarezza, sicurezza e fiducia.

“I tre grandi suoni elementari in natura sono il rumore della pioggia, il rumore del vento in un bosco selvaggio e il suono del mare che si frange su una spiaggia. Li ho sentiti, e delle tre voci elementari quella del mare è la più incredibile, bella e varia” (Henry Beston)

La componente universale ed “elementare” della nostra vera natura emerge senza sforzo, l’acquietamento si dirige nella direzione dell’Ananda, una quieta beatitudine senza più oggetto né soggetto: “un oceano di silenzio scorre lento, senza centro né principio, quanta pace trova l’anima dentro, scorre lento il tempo di altre leggi, di un’altra dimensione … e scendo dentro un oceano di silenzio, sempre in calma” (Franco Battiato)

Insomma, di fronte all’imperscrutabile mare siamo gettati davanti alla metafora principale di ogni saggezza.

“Ogni esperienza è un’onda nello sconfinato oceano della coscienza.
Se guardiamo le onde, cambiano di momento in momento.
Se guardiamo l’acqua, non cambia mai.
Il punto è tutto qui: spesso non siamo in grado di vedere l’acqua, vediamo solo le onde. E siccome si muovono di continuo, un costante senso di paura e insicurezza ci perseguita.
Ma ogni istante della vita è una nuova occasione per scorgere l’acqua che non cambia mai.”
(Mauro Bergonzi, Il sorriso segreto dell’essere)

Cecilia Martino

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