Quel che porta un uomo occidentale ad avvicinarsi a una disciplina come lo Yoga, “apparentemente” tanto lontana dalla propria cultura, è la ricerca di uno spazio ove poter rivolgere il proprio sguardo verso se stesso… Questa necessità a volte è solo la naturale conseguenza di un modo d’essere particolarmente sensibile e ricettivo che abbisogna di andare oltre una realtà materiale della quale s’intravede molto di più, a volte invece ci si ritrova a praticare Yoga per sfuggire dal caos nel quale si è immersi… Quale che sia la motivazione o l’evento casuale che porti a fare una tale un’esperienza, quel che colpisce è come questa pratica sia si, accessibile ai più, ma estremamente selettiva per quel che riguarda l’effettiva capacità di comprenderne la serietà e la dedizione imprescindibile con cui ci si dovrebbe applicare.
Stiamo insieme facendo riferimento a quei casi in cui le persone hanno sia la fortuna che il buon senso di rivolgersi a degli autentici maestri i quali praticano e vivono in modo coerente gli insegnamenti che trasmettono. Il resto lo lasciamo circoscritto all’ambito della sperimentazione psicofisica.
Lo Yoga non è una religione, non è fanatismo, non è semplice ginnastica. Lo Yoga può considerarsi una “filosofia” (greco antico: φιλοσοφία, philosophía, composto di φιλεῖν (phileîn), “amare”, e σοφία (sophía), “sapienza” o “saggezza”), ossia “amore per la sapienza”, che unisce alla conoscenza teorica una pratica costante.
Lo Yoga è un viaggio, un viaggio in divenire, che richiede un grande impegno. Volontà e disciplina non possono mancare. E’ uno dei cammini che si può scegliere di percorrere per andare incontro al nostro essere più profondo, alla comprensione di noi stessi fino al ritrovarsi a svolgere una vera e propria “investigazione spirituale”. È un cammino di sviluppo interiore che fa maturare il nostro sentire, tanto da permetterci di entrare in relazione con il sensibile e il sovrasensibile in modo univoco e soprattutto consapevole.
Praticare Yoga regolarmente e farlo tenendo conto dei suoi insegnamenti che vanno ben oltre quelli scritti, conduce a una profonda trasformazione. L’attenzione costante verso noi stessi, il saper interpretare il nostro sentire e l’intendere la realtà come una complessità di forme e colori di cui tener conto, assumere consapevolmente posture diverse sul piano corporeo e nel contempo atteggiamenti diversi sui piani emotivo e mentale, fa parte del lavoro interiore richiesto a ognuno di noi, soprattutto a chi, tra di noi, cerca di agire nel Mondo in armonia con quel divino in sé che tende al Divino Cosmico.
Come disse Angelus Silesius, pseudonimo di Johann Scheffler (Breslavia 1624-1677) poeta e mistico tedesco:
“Dio abita in una luce cui strada non conduce:
chi luce non diventa, non lo vede in eterno.”
L’azione di ogni yogi dovrebbe sempre tendere a seguire gli insegnamenti ricevuti, o meglio acquisiti, grazie allo studio e alla pratica dello Yoga…
I principi fondamentali dello Yoga sono rintracciabili in alcuni testi antichi, tra i quali uno dei principali è lo Yoga Sūtra di Patañjali.
Patañjali (devanagari: पतञ्जलि) è un filosofo indiano, tradizionalmente collocato nel II secolo a.C. Della sua vita si conosce ben poco a parte qualche leggenda come quella che narra di una capra che mangiò metà dei sutra che lui scrisse su fogli di palma, prima che potesse portare il testo completo in Himalaya. Incompleto o meno che sia, questa sua opera a lui attribuita, gli Yoga Sūtra appunto, sono il testo fondamentale dello Yoga Darśana. Patañjali fu il primo a mettere per iscritto insegnamenti tramandati fino a quel momento solo oralmente e per tale ragione è considerato il fondatore del Raja Yoga.
Patanjali con questa opera, indica la strada di quello che oggi viene considerato il sistema dello Yoga Classico, ovvero l’Ashtanga Yoga.
“Ashta” significa “otto”, mentre “Anga” vuol dire “passi” o “membra”.
Ognuno degli otto passi descritti rappresenta un tratto conquistato del percorso intrapreso verso la piena consapevolezza di sé.
“Grazie a Patañjali lo Yoga, da tradizione ‘mistica’, si è trasformato in ‘sistema filosofico”
(Mircea Eliade, Lo Yoga. Immortalità e libertà.)
L’insegnamento contenuto in 196 aforismi (Sūtra) è una guida che accompagna l’allievo durante il suo cammino verso il pieno conseguimento del controllo di sé, attraverso una piena padronanza della mente e della sua attività (vritti). Un cammino appunto che lo condurrà, come anticipato, all’intima unione con il suo essere divino.
Il documento è suddiviso in quattro capitoli (in sascrito Pada) dove vengono approfonditi quattro temi indispensabili per la vita di uno yogi:
- Samādhi Pāda – Il Sentiero dell’Unione (composto da 51 Sutra).
Lo Yoga come mezzo per il raggiungimento della Beatitudine, del Samadhi. La Contemplazione. La compresione di ogni cosa, la liberazione dell’anima dal ciclo di rinascita e morte (Samsara). - Sādhana Pāda – Il Sentiero della Pratica Iniziatica (composto da 55 Sutra).
Descrizione della pratica dello Yoga, degli otto stadi dello Yoga, ossia dell’Ashtanga Yoga, il sentiero del Karma Yoga… - Vibhūti Pāda – Il Sentiero delle Facoltà Sovrumane (composto da 56 Sutra).
I “poteri” che si possono ottenere con la pratica Yoga. - Kaivalya Pāda – Il Sentiero dell’Emancipazione (composto da 34 Sutra).
Intesa come separazione tra spirito e corpo e liberazione da ogni sofferenza terrena, il conseguimento del più alto stato di Kaivalya.
Concentriamoci ora sugli ashstanga, gli “Otto Passi dello Yoga”.
Patanjali delinea un vero e proprio percorso durante il quale approdare a stadi precisi che vanno compresi, interiorizzati e fatti propri per giungere alla realizzazione del proprio Ātman (devanāgarī आत्मन्), l'”essenza” o il “soffio vitale”, il Sé.
Questi stadi sono:
I. Yama, precetti morali universali o astensioni. Sono insegnamenti che riguardano strettamente la sfera personale e che se applicati ci portano a una maggiore conoscenza di noi stessi, di quali siano i limiti da accettare e le potenzialità da sviluppare e soprattutto mettono in luce qualità come compassione, onestà, generosità. La volontà nel perseguirli, essa stessa va alimentata e tenuta in vita con grande dedizione e passione.
Ci sostengono per un sano relazionarci con l’altro.
I 5 Yama sono:
- Ahimsa – Non violenza, gentilezza, compassione.
- Satya – Verità, onestà, autenticità.
- Asteya – Onestà, non rubare.
- Brahmacharya – Moderazione, continenza, autodisciplina.
- Aparigraha – Non accumulo, non attaccamento.
II. Niyama, discipline, prescrizioni od osservanze personali che espongono le modalità con cui relazionarsi con se stessi.
I 5 Niyama sono:
- Saucha – Pulizia, purezza.
- Santosha – Contentezza, appagamento, soddisfazione.
- Tapas – Disciplina, ardore, forza.
- Svadhyaya – Studio delle Sacre Scritture, conoscenza e consapevolezza di sé.
- Ishvara Pranidhana – Arrendevolezza al Divino, abbandono all’Essere Supremo.
III. Asana, posizioni fisiche, posture e pratica delle posizioni Yoga. Il termine Asana viene menzionato da Patanjali in un solo Sutra 2.46, nel secondo capitolo degli Yoga Sutra (Sadhana pada):
«Sthira Sukham Asanam» (Yoga Sutra 2.46)
che potrebbe essere tradotto in:
«Le posizioni corporee devono essere stabili e confortevoli»
Questo insegnamento oltre a rinforzare il legame con la natura, permette d’incanalare e raccogliere l’energia.
IV. Pranayama, padronanza della respirazione e delle energie vitali. La parola Pranayama è formata da Prana (fiato, respiro vitale, respiro, energia…) e da Ayama (lunghezza, controllo, espansione). Il suo significato è quindi legato strettamente ai concetti di “controllo ed estensione” del respiro. Presuppone un’adeguata preparazione data da una seria osservanza delle norme etiche, dall’attuazione di pratiche di purificazione e perfezionamento di sé e dall’aver acquisito il dominio delle posture corporee essenziali alla riuscita di una vera respirazione vitale che connetta il piano terreno a quello astrale.
V. Pratyahara, preparazione alla fase meditativa. Grazie all’ausilio dei sensi e alla connessione con l’ambiente, si passa dal percepire i più sottili cambiamenti esterni fino alla ritrazione degli stessi e alla conquista dell’isolamento sensoriale.
VI. Dharana, concentrazione profonda. In questa fase ci si riferisce alla positività del pensiero, al riuscire a concentrarsi su un singolo oggetto o pensiero tralasciando tutto il resto. Lo scopo non è l’oggetto su cui ci si focalizza, ma la sua essenza e su questa ci si concentra appunto, inibendo ogni interferenza esterna rimanendo al contempo estraniati da essa.
VII. Dhyana, contemplazione, meditazione profonda e astratta. Siamo a un alto livello evolutivo più alto della concentrazione. Dopo esserci estraniati nel Dharma da ogni interferenza esterna, qui ci estraniamo anche dai nostri pensieri, dai nostri ricordi, dalle nostre opinioni, dal nostro ego…
VIII. Samadhi, mettere insieme, unire. É lo stato di grazia, esperienza diretta dell’Unione tra il soggetto e l’oggetto. Si apprende come trascendere noi stessi e la nostra stessa natura: restano l’Universo e il soggetto della meditazione.
Giungiamo così alla fine della descrizione di uno dei possibili “mezzi” utili all’uomo per compiere uno dei suoi compiti più importanti, in particolar modo in quest’epoca: quello di riscoprire la spiritualità in Sé e in ogni cosa.
Siamo in costante viaggio, un viaggio che inizia ben prima della nostra venuta al mondo e certamente non si conclude con la nostra dipartita. In questo lasso di tempo in cui siamo incarnati dobbiamo però comprendere quanto gli aspetti materiali per quanto non evitabili e per certi versi utili comunque alla nostra esperienza evolutiva, non siano i predominati. L’attacco allo Spirito è talmente evidente che sentirsi spinti ad attività in cui quest’ultimo si possa riconoscere e sostenere è da accogliere come una grande benedizione. Sia che si scelga di praticare Yoga, sia che si scelga di seguire una via diversa, l’importante è che si compia con dedizione il cammino. Passo, dopo passo, con pazienza e fiducia…
“Lavoro nell’intimo, agisce al di fuori
Non giudicare, ascolta soltanto
Non stupirti, guarda soltanto
Amali tutti!
Esperienza dall’esterno, agisce nell’intimo
Non evitare nulla, sprofondati soltanto
Non difenderti da nulla, sopporta soltanto
Finché non sia raggiunta:
Pace nell’intimo, amore verso l’esterno
Non dire nulla, patisci soltanto
Non chiedere nulla, attendi soltanto
Finché non ti venga dato.”
— Rudolf Steiner
Molto edificante ed interessante.
Complimenti
Grazie Emanuele, per l’apprezzamento e soprattutto per aver dedicato del tempo alla lettura di un mio scritto…
Un caro saluto.