Nel 2001, ho iniziato il mio percorso nello yoga durante una sfida legata alla malattia. Ho completato una formazione quadriennale presso la scuola Y.A.Y.S. a Salerno e ho avuto l’opportunità di condividere la pratica con una varietà di persone in contesti diversi, inclusi autismo, terza età, disabilità, gestanti, infanzia, oncologia, e psichiatria.
Recentemente, ho ottenuto l’abilitazione per insegnare lo yoga in carcere tramite l’Accademia Internazionale di Formazione Asia Dharshana con riconoscimento ONU.
L’ambiente carcerario rappresenta una sfida complessa, suscitando spesso una profonda disconnessione e alienazione tra le persone detenute e il loro mondo emotivo.
L’integrazione dello yoga in questo contesto si basa sulla comprensione del potenziale terapeutico delle pratiche yogiche. Il rilassamento, la meditazione, gli āsana e il controllo del respiro, quando insegnati con sensibilità, diventano strumenti preziosi per aiutare le persone detenute a gestire ansia, rabbia e altre emozioni, favorendo un ambiente di maggiore serenità. Molte persone in detenzione hanno attraversato esperienze traumatiche nel corso delle loro vite, e l’ambiente carcerario stesso può contribuire a generare ulteriori traumi. Lo yoga offre un sentiero per affrontare tali traumi in modo sostenibile, consentendo alle persone detenute di rilasciare le tensioni accumulate e di intraprendere un percorso di guarigione interiore.
Per un periodo di tre mesi, abbiamo dedicato tempo all’esplorazione degli āsana (posizioni) e della meditazione al fine di coltivare l’auto-osservazione. Nel corso delle sessioni, le espressioni sui volti dei partecipanti sono passate da scetticismo a apertura e curiosità. Durante le pratiche yogiche, alcuni partecipanti hanno condiviso le proprie storie o posto interrogativi relativi agli insegnamenti dello yoga. Al termine dell’ultima lezione, sono stati consegnati gli attestati di partecipazione al corso di yoga. Insegnare lo yoga in carcere richiede una comprensione del contesto penitenziario e le sue regole. Le lezioni dovrebbero essere adattabili per includere tutte le persone, indipendentemente dalle loro capacità. La creazione di un ambiente tranquillo può essere facilitata dalla musica o frequenze sonore adeguate. L’empatia, la comprensione e il rispetto per la diversità culturale e religiosa sono fondamentali, e non si dovrebbe mai costringere nessuno alla pratica. L’ascolto e il sostegno sono importanti, e l’insegnante dovrebbe incoraggiare l’autonomia e la crescita personale nei detenuti. La gratitudine è un modo significativo per riconoscere l’impegno dei partecipanti. Insegnare lo yoga in carcere richiede dedizione e può influenzare positivamente il percorso di reinserimento nella società delle persone detenute, migliorando il loro benessere fisico e mentale.
Ringrazio la dottoressa Marilena Capuzzimati, promotrice del progetto Yoga in Carcere, la direttrice del carcere di Bellizzi Irpino Concetta Felaco che ha permesso la realizzazione del progetto, la dottoressa Maria Cristina Tedeschi, mediatrice culturale e guida nel progetto. Ringrazio profondamente le detenute e i detenuti per la loro fiducia.
Namastè!
Monica Basso