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Ogni azione che compiamo nella vita è mossa da un’ intenzione. Intenzione, dal latino “tendere a”, è la volontà di dirigere la coscienza verso un determinato fine. È inevitabilmente conscia e risponde alla domanda cosa voglio ottenere. Attraverso l’intenzione possiamo orientare la nostra mente verso stati mentali positivi come la gentilezza, la compassione e la non violenza. Ma le intenzioni possono essere mosse anche da desideri e aspettative inadeguate. Spesso cadiamo in schemi poco salutari che ci portano all’infelicità. Questo è presente e particolarmente importante anche nella pratica dello yoga.

L’abilità di coltivare una buona attitudine nella pratica richiede la piena consapevolezza di ciò che guida le nostre azioni. Pertanto, il pensiero corretto mira a promuovere un comportamento morale e pacifico, evitando di causare dolore e azioni disoneste.

Ogni volta che ci mettiamo sul tappetino è sano ed etico riflettere sulle motivazioni della nostra pratica. Chiederci perché e come pratichiamo, e cosa vogliamo raggiungere.
La pratica può avere per ognuno di noi scopi diversi e a diversi livelli. Alcuni esempi:

  • Favorire il miglioramento della salute prevenendo le malattie.
  • Rasserenare la mente e aiutare a sviluppare una maggior consapevolezza di quello che siamo.
  • Raggiungere la liberazione.
  • Mantenere la forma fisica, suscitare l’ammirazione di qualcuno, diventare più flessibile e migliore la performance, etc.

Una volta definite le motivazioni, ci concentriamo sulle intenzioni durante la pratica. In altre parole, a ciò che ci si propone di raggiungere e a cui tendono le nostre azioni quando ci troviamo sul tappetino. La corretta intenzione nella pratica dovrebbe essere mossa da buoni propositi e non influenzata da attaccamenti a desideri, dall’ego o dalla violenza.

È importante anche riflettere sul modo in cui affrontiamo la pratica, ovvero sull’azione e sul nostro modo di praticare. E a questo punto è spontaneo connettere la pratica con Ahiṁsā (non violenza), la prima delle cinque osservanze del sistema dello yoga di Patañjali.

अहिंसासत्यास्तेयब्रह्मचर्यापरिग्रहा यमाः॥३०॥
Ahiṁsāsatyāsteyabrahmacaryāparigrahā yamāḥ||30||
Le astensione (yama), sono: non nuocere, non dire falsità, non rubare, non compiere attività sessuale, non trattenere [nulla per sé]

Ahiṁsā significa astenersi dalla malizia verso ogni essere vivente in ogni modo e in ogni momento.
Le altre astensioni e osservanze hanno radici in essa. Ahiṁsā nella pratica di yoga è il rispetto verso il proprio corpo. Ma questa affermazione potrebbe avere interpretazioni diverse, a seconda il proprio approccio alla pratica. Quando si sta sul tappetino ci si potrebbe trovare costantemente a spingere per lavorare più duramente, cercando un allungamento ulteriore, per andare oltre il limite naturale in una costante ricerca di perfezione e progresso. Spingendo il corpo al massimo e considerando il dolore come elemento intrinseco alla pratica, abusiamo di noi stessi. Se siamo disposti a sacrificare la nostra salute per raggiungere determinati risultati o per impressionare insegnanti e allievi, stiamo alimentando il nostro ego.

Nel Sutra 1.13 la pratica viene descritta come lo sforzo continuo e ripetuto di mantenere la mente nello stato di calma.

तत्र स्थितौ यत्नोऽभ्यासः॥१३॥
Tatra sthitau yatno’bhyāsaḥ||13||

Ciò significa che per ottenere la concentrazione e il controllo della mente dobbiamo continuamente compiere degli sforzi. Ma ciò non vuol dire che questi sforzi si debbano limitare quasi in modo esclusivo alla performance nelle posizioni.

Nella pratica degli āsana, può essere sano avere la disposizione interiore di eseguirli con impegno, dedizione e costanza, senza però spingerci al punto del danno. La giusta azione dovrebbe guidarci verso l’accettazione completa di come siamo, lasciando fuori aspettative, frustrazioni, pensieri distruttivi e altre forme di violenza che si manifestano semplicemente per il fatto di non riuscire a fare una posizione.

Arely Torres Delfin

BIBLIOGRAFIA

  • Patañjali Yoga Sutra. Federico Squarcini
  • The Yoga System of Patañjali. James Haughton Woods

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