E se non accadesse nulla?
Ma proprio nulla? Nemmeno un attimo di quella affannosa presa di consapevolezza di quiete e agognata pace? Tutto per una manciata di secondi e a volte nemmeno quelli, sai.
Per cosa poi? Quegli archi, aperture, trazioni e rotazioni. Siamo assorbiti da una società in cui mettiamo la monetina nel distributore ed ecco che sbuca una lattina; ma se invece non uscisse nulla ? Come ci sentiremmo? E se una pratica non desse quello che vogliamo? Ottenere, subito, ora. È una visione molto limitata e poco trasformativa; invece fiorire necessita di un processo lento, delicato, una sinergia di condizioni necessarie per una crescita rigogliosa…
Ci leghiamo, attorcigliamo: Baddha, come un nodo, per ridurre lo spazio cosicché ogni parte del corpo sia idealmente prossimale. Quei 3,4,5 secondi di parentesi del tacere. A volte la quiete per percepire l’anima si trova nell’annodarci altre volte con una mano al centro dello sterno e l’altra sul ventre.
Ed per questo che bisognerebbe tornare sempre sul tappetino, soprattutto quando ci si sente restii; per questo bisognerebbe tornare sul tappetino, per quei secondi di totale ascolto, di lentissimo cambiamento. E praticare anche per il “nulla”, perché a volte accade qualcosa, altre volte non ne ho la certezza.
Una volta un maestro zen chiese al suo discepolo :
“Hai visto il leopardo delle nevi?”
“No” proferì il discepolo
“Non è meraviglioso?” lo incalzó il maestro
L’attesa, l’esitazione, il vuoto…
E se non accadesse proprio nulla? Essere disorientati, a volte delusi; il fremito che sorge del lasciare andare, dell’abbandono. Si pratica anche per quello: per tornare a casa. Su quel tappetino, su quella quella stuoia rettangolare che districa le radici e dona libertà, allo stesso tempo. Lì la paura diventa più sensibile, sostenibile, vivibile e a dosi omeopatiche almeno inizialmente.
E così il ritorno a sé, anche alle proprie paure, è più frequente perché non c’è più un’unica postura per farlo, ma piuttosto un atteggiamento di diffusa fiducia nel percorso…