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Photo by Sanjay Khan

“Proprio come il corpo si spoglia dei vestiti logori e ne indossa di nuovi, così il sé infinito e immortale si spoglia dei corpi logori ed entra in quelli nuovi”.
— Bhagavad-Gita

Per i sadhu con lunghi dreadlocks, coperti di cenere, che vagano lungo i ghat ardenti di Benares, in India, lo scopo ultimo dello yoga non è quello di sentirsi più sexy, più sani e più energici ma sfuggire all’attaccamento del samsara e alle concupiscenze del corpo, al ciclo di rinascita e morte, fermare la causa-effetto del karma, risvegliare la propria coscienza, Sé superiore o Atman.
Questa visione verticale di rinunciare al mondo attraverso il digiuno, la preghiera, il canto, la meditazione e lo yoga è stata il fulcro centrale della spiritualità indiana per migliaia di anni.
Parallelamente a questo sguardo alla cultura dello yoga trascendentale – che ha spesso evitato le donne, il sesso, il corpo, le caste inferiori e il mondo in generale – esiste una cultura dello yoga più integrale, attraverso la quale il mondo e le sue numerose espressioni sono viste, non come una trappola o un’illusione, ma come un’altra espressione dello splendore divino e dello spirito.
Questa visione è espressa lucidamente nella tradizione tantrica, che svela il principio di non sfuggire al samsara, ma piuttosto abbracciare il mondo dualistico in profonda estasi e devozione spirituale, liberandoci dalla schiavitù karmica e godendo anche delle gioie terrene.

Punar-janman, o rinascita, dopo questa vita in forma umana o animale, è stata accolta dalla maggior parte delle scuole di pensiero indiane fin da poche centinaia di anni prima del Buddha (700 a.c.), ed è probabilmente già esistita nelle tradizioni orali migliaia di anni prima.
Ma gli indiani non sono gli unici a credere esistano vite multiple.
Molto prima della scienza moderna, in Grecia, la reincarnazione è apparsa nella tradizione filosofica a partire dal VI secolo a.c. circa, molto probabilmente una migrazione concettuale e culturale dall’India. Durante l’età del ferro, i presocratici greci discussero della reincarnazione. Durante la stessa epoca, i druidi celtici insegnarono anche una dottrina della vita dopo la morte.
In India, in forme sia vaghe che sofisticate, la dottrina della rinascita è emersa in molte scritture e scuole relative alla saggezza vedica, yogica e tantrica, dal Rigveda alle Upanishad, dai Tantra tradizionali alla moderna filosofia yoga.
Sfuggire alle lusinghe della lussuria e alla sofferenza della rinascita mondana è fondamentale per il buddismo. Nel giainismo, la religione fondata da Mahavira, troviamo due caratteristiche interconnesse: reincarnazione e liberazione; la rinascita è basata sul karma di una vita precedente (le leggi dell’azione e della reazione), quando raggiungiamo la liberazione, non diventiamo solo illuminati, ma anche liberi dall’acquisizione di nuovo karma. Diventiamo un Arihant, un santo con perfetta conoscenza spirituale e felicità.
Punar-janman è associata all’idea, espressa per la prima volta nella Brihad-Aranyaka-Upanishad, che la qualità del proprio essere è determinata dalla qualità delle proprie azioni, affinché chi fa il bene diventi buono e chi fa il male diventi cattivo. Quindi il karma acquisito in questa vita si trasformerà in reazioni buone o cattive nella nostra prossima vita.

KARMA, SAMSKARA E ILLUMINAZIONE

Finché vivremo nella dimensione terrena saremo impegnati in varie azioni, (karma) e sperimenteremo la legge di causa ed effetto.
Nello yoga, ci sono sostanzialmente due approcci per affrontare la dualità del mondo: sfuggirgli ritirandosi dal mondo e vedere il mondo fenomenico come un’illusione, visione caratteristica del Vedanta, o come nella visione Tantrica, vedere il mondo come espressione dello Spirito e quindi vivere nel mondo fondendo la spiritualità e la sacralità.
Il principio di equilibrare la spiritualità trascendente con la vita nel mondo è parte integrante del Tantra che mira a combinare il fare con l’essere; il karma con il mantra, l’azione con la meditazione infondendo alle proprie azioni l’attitudine spirituale.

Superficialmente, il karma è spesso inteso come una specie di punizione universale per i nostri peccati o atti inconsci. Quando accadono cose brutte alle persone, o peggio ancora, quando accadono cose brutte alle persone buone, allora potremmo sentirci giustamente indignati per l’ingiustizia della vita e per il potere superiore che infligge queste punizioni cosmiche. Ma, secondo la visione del mondo yogica, non è così che si spiegano le leggi del karma.

Il concetto di karma rappresentato negli Yoga Sutra e nella Bhagavad-Gita è inteso come un’energia neutra che, quando attivata dalla mente e dalle emozioni, si manifesta in azione. Questa azione porta a una reazione che a sua volta genera nuove azioni e continua il ciclo del samsara all’infinito. Patanjali ci ricorda, che le nostre azioni sono colorate dalle nostre virtù, vari istinti emotivi, positivi e negativi, come il desiderio, il desiderio di liberazione, la rabbia, l’illusione, la speranza, l’avidità, l’invidia. Queste virtù – di cui ce ne sono 50 in tutto, si trovano nei vari chakra e sono legate ai nostri istinti e ormoni – se espresse inconsciamente, se non superate attraverso la pratica psico-spirituale, porteranno ad azioni non nobili e a creare più samskara complicando il nostro cammino verso la liberazione.

La vita che viviamo in questa rinascita è in gran parte basata sui samskara di vite passate.
Quando eseguiamo un’azione (karma), il modo in cui manifestiamo quell’azione dipende da come esprimiamo e ci relazioniamo con la nostra natura innata, con le nostre capacità – la nostra rabbia, orgoglio, ecc. – e questo, a sua volta, è in gran parte basato sui nostri precedenti samskara.
La via d’uscita da questa rete di interazioni karmiche è sviluppare consapevolezza, gentilezza amorevole, amore per il Divino in noi stessi e in tutti gli esseri.

Nello yoga attraverso la pratica degli asana, lavoriamo sul corpo per rilasciare la presa dei nostri samskara psicosomatici. Nello yoga tantrico, la pratica delle asana diventa un mezzo per vedere la non dualità di mente-corpo, perché, secondo il Tantra, il corpo non è altro che energia e l’energia non è altro che coscienza.
La pratica dello yoga non è teso a sviluppare un corpo elastico, ma anche una mente fluida, imparando ad accettare i nostri samskara, siano essi fisici o mentali, piuttosto che vivere nella negazione e nella colpa.

La visione e il cuore di uno yogi sono istruiti a non identificarsi e ad abbandonare tutte le azioni al profondo oceano di coscienza interiore.
Lo yogin tantrico, con l’atteggiamento consapevole di “accogliere e trascendere” cammina e vive in questo mondo senza esserne parte. Ogni azione diventa un’espressione di amore cosciente, piuttosto che compulsioni karmiche, un riflesso della grazia del cuore interiore non duale, della fonte di ispirazione divina infinita che conduce gradualmente ad un senso di profonda liberazione, illuminazione e libertà.

LA VIA DELLA LIBERTÀ DEL TANTRA YOGA

La via tantrica vede la via d’uscita dalla schiavitù del karma, mentre si vive nel mondo, comprendendo ed accettando i tre tipi di samskara:

  1. innati — da vite precedenti
  2. acquisiti — da azioni indipendenti e di libero arbitrio
  3. imposti — dalla società e dalla famiglia, dalle nostre responsabilità, dalla nostra educazione e dalle azioni abituali.

La via d’uscita dalla prigione samskarica e la liberazione da reazioni karmiche è agire in tre modi:

  1. agire senza il desiderio per i frutti dell’azione
  2. agire senza vanità
  3. consegnare tutte le azioni all’oceano non duale del divino

Lo scopo ultimo del tantrika non è un buon karma, ma piuttosto un NON KARMA, che conduce a moksha: lo stato di liberazione finale dal ciclo del samsara di morte e rinascita.

La via più diretta per uscire dalla schiavitù karmica, secondo la tradizione tantrica è attraverso la pratica spirituale: sadhana.
Questa pratica è allo stesso tempo precisa e complessa e di per sé un’intera scienza della vita. Il mantra (ma=mente, tra=liberare) è una parola che libera la mente dalla schiavitù, dalla preoccupazione e dall’attaccamento. Il potere di un mantra risiede nelle sue qualità sonore poiché la sua risonanza sillabica aumenta la nostra consapevolezza dai chakra inferiori a quelli superiori, attivando e allineando le energie spirituali dormienti, aiutandoci a vedere il mondo da una prospettiva non duale, amorevole e distaccata.
Recitando un mantra, che può essere praticato nella meditazione, ma anche sul respiro durante il giorno, allineiamo le nostre menti con il nostro scopo superiore. La recitazione del mantra (japa) ci ispira a compiere azioni karmiche nel mondo creando meno o nessun entanglement, poiché ci consente di agire mentre vediamo il mondo come un’espressione della nostra verità interiore.

Il Tantra ci insegna a lasciar andare, rimanere nel momento presente, spostare la nostra consapevolezza lontano dagli oggetti della nostra vita e a concentrarci sulla consapevolezza stessa.
Ed è proprio qui che entra in gioco la purezza di intenti, lavando le impurità dei nostri sensi; infatti l’obiettività è l’impurità principale.
La relazione soggetto-oggetto che proiettiamo nel mondo – noi e loro, io e te – confonde l’esperienza più pura e la consapevolezza dell’essere semplicemente UNO con il tutto.
Il Tantra percepisce la realtà che sperimentiamo quotidianamente come espressione del divino, piuttosto che relegarla a mera illusione o separarla da esso.

L’ABRACCIO KARMICO DEL TANTRA

La tua ricchezza di esperienza è il vino che offri?
Alla Divinità che è ovunque.
— Vijnana Bhairava Tantra

Ci sono in gran parte tre correnti di filosofia spirituale in India: due forme di non dualismo, come espresse nel Vedanta e nel Tantra, e diverse forme di dualismo, principalmente nel Samkhya, che oggi è per lo più conosciuto come la filosofia dell’Ayurveda, e gli Yoga Sutra di Patanjali, che si basa in gran parte sulla filosofia Samkhya.
Nel Samkhya, negli Yoga Sutra e nel Tantra, ci sono due importanti elementi filosofici, vale a dire purusha (coscienza, spirito, ciò che semplicemente è) e prakrti (energia, ciò che crea).
Nella filosofia dualistica Samkhya, così come negli Yoga Sutra, l’interrelazione tra queste due forze rimane in gran parte dualistica (separate). Nel Vedanta, l’enfasi è su purusha, o meglio Brahman, sulla pura coscienza, e quindi prakrti (il mondo) è visto come Maya, un’illusione, una trappola, da ignorare o evitare.

Quest’idea verticalista e negatrice del mondo – che questo mondo è irreale e che solo Brahman (Dio come pura coscienza) è reale – è il principio centrale del Vedanta, ma molti studiosi sottolineano anche che lo Yoga Sutra, a causa della sua dualità, enfatizza uno stile di vita o anche un modo di essere che nega il mondo e il corpo.
Il flusso introverso e verticalista della spiritualità è stato molto influente nella cultura indiana e ha raggiunto il suo apice con l’avvento dell’Advaita Vedanta, fondato da Shankara (700 d.C.).
Per l’Advaita classico, il corpo e il mondo nel suo insieme sono considerati insignificanti, e il ricercatore spirituale deve concentrarsi esclusivamente sul Sé, abbandonando tutte le attività convenzionali. Per lo yogi indiano verticalista, la via d’uscita dai grovigli del mondo del samsara è quella di cercare uno stato di libertà ultra terrena attraverso forme di yoga e pratiche ascetiche, che negano la vita e il corpo.
Nelle varie Upanishad possiamo trovare espressioni di un approccio più integrale alla spiritualità, in cui il mondo e lo spirito sono uniti in un leggiadro e integrale abbraccio.
Affermazioni come — In verità, tutto questo è l’Assoluto — rappresentano una spiritualità integrale, talvolta enfatizzata anche nel Vedanta, che unisce coscienza ed energia, spiritualità e mondo fenomenico. Questo approccio integrale, che unisce sia la visione del mondo ascendente che quella discendente, ha trovato la sua piena fioritura in India attraverso il sentiero del Tantra.

Il Karma si riferisce all’azione, alla sua causa ed effetto poiché non c’è azione senza ragione o azione senza alcun effetto.
Il Karma descritto nel Mahanirvana Tantra è di tre tipi: sanchita karma; prarabdha karma, vartamana e agami karma.
Ichchha, jnana e kriya Shakti sono evidenti nel Jivatma che vive sul piano terreno. Il risultato è originariamente parte dell’azione che continua e si trasforma nel risultato finale. Il jivatma sperimenta felicità o dolore a seconda delle sue azioni.Sanchita karma è il karma accumulato e inesaurito del passato che deve essere ancora elaborato. Il karma passato è la causa del carattere delle nascite successive che è chiamato sangskara o vasana. Prarabdha Karma è la seconda forma di karma che è matura e porta frutti nella nascita attuale. Vartamana e Agami Karma è il karma che l’essere umano crea continuamente con le azioni presenti e future.

L’anima incarnata crea naturalmente il karma presente e sperimenta il passato.
Il karma è invisibile.
È il prodotto di azioni proibite capaci di dare corpi buoni o cattivi.
Questo è noto come impurità di azione.
Una buona azione, se fatta con l’obiettivo di una ricompensa, non potrà mai portare alla liberazione.
La liberazione è il lavoro di Shiva-Shakti ottenuto da Brahma jnana.

Nel Tantra, la sadhana e l’Acara che sono destinati a un individuo dipendono dal suo karma.
Sanchita Karma modella l’inclinazione, il carattere e il temperamento dell’essere umano. Per quanto riguarda il prarabdha karma, non può essere evitato. Il Tantra riconosce la forza del karma e modella il suo metodo sulla tempra prodotta.
Pertanto, le forme di culto consentite ai vira sono vietate ai pashu.

Nel Tantra e in particolar modo nella filosofia del X secolo di Abhinava Gupta i due principi tantrici (Shiva e Shakti) sono uniti in un abbraccio cosmico non duale. Brahman, l’Uno, è quindi visto come composto dai Due. l’Uno non può essere senza l’altro, l’altro non può essere senza l’Uno.
Nel Tantra il mondo non è altro che un incontro di purusha e prakrti, di coscienza ed energia, di Shiva e Shakti , che insieme si dissolvono all’unisono nell’oceano del Brahman, nella pura coscienza cosmica.
La tradizione tantrica non può negare il mondo, perché per il mondo è il Para Brahman.
Lo yoga tantrico vede il mondo come una rappresentazione più estesa del corpo (microcosmo-macrocosmo), un’espressione integrale non duale di coscienza/energia, uno specchio microcosmico della coscienza macrocosmica del Brahman.

Il Tantra abbraccia il mondo come espressione dello spirito, il concetto di karma si alleggerisce e non viene percepito come una trappola da cui fuggire, ma piuttosto un’opportunità e affermazione della vita sviluppato con un approccio di amorevole e “feroce gentilezza”.
Le nostre azioni karmiche sono parte integrante, piuttosto che separate dalla nostra pratica spirituale.
Mentre lo yogi verticalista vuole rinunciare alla ruota del samsara, ai conflitti e ai problemi del mondo sfuggendo alla ruota karmica, il tantrika è intento a trasformare il mondo, perché non c’è niente da cui sfuggire.
Il mondo è un’espressione divina; in cui vivere e agire è solo un’altra opportunità per rivelare il Divino attraverso di noi.

“Quando realizziamo il Sé imperituro precedentemente oscurato da schemi di abitudini karmiche, vinciamo il mondo, il che significa che superiamo la nostra ristretta esperienza del mondo. In quell’istante il mondo perde la sua qualità ostile e invece si rivela a noi come la stessa realtà benigna sempre presente”.
— Feuerstein, 1998

Maya Swati Devi
Yogini, Maestra di Tantra Yoga tradizionale e fondatrice di Devi Tantra Yoga nel 2007, l’unica scuola italiana di Tantrismo Kaula e Shakta.

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