“Human” – Foto di Reimund Bertrams da Pixabay
“Noi viviamo conformemente al nostro profondo desiderio.
È questo desiderio al momento della morte
Che determina quello che noi saremo nella prossima vita.
Ritorneremo sulla terra per lavorare
Su come uscire dalle soddisfazioni di quel desiderio.”
Le Upanishad
Karma è un termine che troviamo nella letteratura Vedica, deriva dalla radice sanscrita della parola Kri = fare, ed è tradotto nelle lingue occidentali come “azione”. L’azione karmica è legata alla reincarnazione, poiché si fonda su un processo logico evolutivo dell’anima che ha come scopo quello di raggiungere il mokṣa, la liberazione dal samsara, il ciclo delle rinascite. Questo processo è conosciuto in natura ed è stato chiaramente esposto da Newton nella terza legge della termodinamica: “Ogni evento fenomenico ha la sua causa, e ogni causa avrà il suo effetto”.
La ripetizione della vita fisica deriva dalla legge del karma. Fino a quando l’anima individuale crede di agire essa diviene attratta dall’azione; quindi, rinasce nel mondo per fare esperienza delle azioni passate. Ogni azione ha due effetti, un impatto su altre creature e cose e un impatto su sé stessi.
Solamente quando si è attaccati all’azione si ha un effetto sui risultati dell’azione. L’attaccamento lascia un segno emozionale nella mente subcosciente (citta) dell’anima individuale. Il non attaccamento non lascia traccia. Le tracce psichiche che rimangono dai nostri attaccamenti possono determinare la nostra natura gioiosa o le afflizioni che ci accompagnano nella vita. Ad ogni modo i nostri attaccamenti sono relativi a quello che noi crediamo e non a fatti reali.
Le impressioni che rimangono nel citta sono chiamati saṁskārah che sono i risultati del karma i quali, vengono dislocati nell’individuo tra una vita e un’altra. I saṁskārah si trovano solo nel corpo e nella mente, non nello spirito.
La reincarnazione è quindi un continuo processo di trasferimento del nostro karma in base alla nostra evoluzione cosciente, che può essere, positivo, neutro o negativo. Se è neutro l’azione si annulla e non si hanno più ripercussioni sugli avvenimenti che si susseguiranno. Se invece è negativo o positivo avrà delle ripercussioni sulle vite future. In pratica è un continuo pagamento di debiti e di emissione degli interessi sul nostro portfolio d’investimenti cosmico. Del resto, non ci sarebbe ragione di avere il libero arbitrio se non avessimo delle conseguenze sul suo utilizzo.
Secondo la Chāndogya Upanishad al momento della morte la persona si costruisce la prossima vita, questo deriverebbe da come la persona ha vissuto durante la vita. Se ad esempio una persona si è dedicata solo ai piaceri della vita, rinascerà con un corpo e una mente predisposti per questo, con tutte le possibili deleterie conseguenze. Se la mente vive nell’amore per gli altri potrebbe rinascere un filantropo od un santo. Se la sua mente è rivolta al Divino, allora si distaccherà dal ciclo delle nascite e delle morti.
Il karma è quella legge di causa ed effetto che regola la giustizia e l’armonia evolutiva della vita dell’universo nello scorrere delle esistenze (saṃsāra). In base a questo processo evolutivo, noi generiamo quattro tipi di karma: prarabdha, sanchita, agama e kriyamana.
Il prarabdha è il karma immutabile che riceviamo prima di entrare in questa vita ed è legato alle azioni della vita precedente. Riguarda la tipologia del corpo, i genitori che avremmo, gli amici, il nostro codice genetico e tutte quelle situazioni che accadono senza il nostro controllo.
Il sanchita si riferisce alle tendenze mentali e psicologiche derivanti dal risultato delle vite precedenti, sono i nostri saṁskārah. Queste tendenze determinano: il tipo di comunicazione, malattie psichiche e fisiche, educazione, e ostruzione nei vari percorsi della vita.
L’agama è invece il karma che viene generato dalle azioni presenti. Qui entrano in gioco i nostri desideri e le nostre ambizioni che influenzano l’ego e la vita intorno a noi che tenderà a produrre nuovo karma che sarà poi dislocato nelle vite successive. Ecco perché è importante controllare l’ego e associarsi con chi ci può aiutare ad avere una vita più devozionale e spirituale.
L’ultimo dei karma è il kriyamana, quello spirituale, che una vota acquisito non si perde ma rimane presente e si accumula tra un’esistenza e l’altra. Questo karma un giorno ci condurrà alla liberazione (moksha).
Ecco perché per coltivare buon karma è importante praticare la spiritualità, lo yoga e frequentare persone che ci possano condurre alla luce della liberazione.
Om Tat Sat,
Umberto Assandri