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Tratto da “Storia Segreta dello Yoga” di Paolo Proietti con la collaborazione di Laura Nalin, Andrea Pagano, Nunzio Lopizzo, Andrea Ferazzoli, Alex Coin.

In India il termine Malla-Yuddha, o semplicemente “wrestling” per gli anglofoni, evoca l’immagine di “giovani uomini in perizoma, unti di olio di sesamo e senape, che si affrontano nelle fosse di fango situate nelle tradizionali palestre dette Akhara, davanti ad una moltitudine di tifosi entusiasti1. Si tratta di uno sport da combattimento brutale, senza esclusione di colpi, che richiede coraggio, forza, agilità e conoscenza dei punti vitali (i marma).

Per un occidentale questi omoni, grandi mangiatori di carne, che si allenano otto ore al giorno per sviluppare i muscoli sono agli antipodi del praticante di yoga e del maestro spirituale, eppure se approfondiamo il rapporto tra yoga e arti marziali nell’India antica scopriremo, con sorpresa, che le figure dello yogin e del lottatore non solo sono meno lontane di quanto potremmo credere, ma, addirittura, si sovrappongono, alimentando i dubbi sull’attendibilità delle storie e degli insegnamenti giunti in occidente negli ultimi 100 anni.

Nel Malla Purāṇa, “L’antico racconto dell’atleta”, di cui una copia risalente al 1731 di un documento probabilmente antichissimo (alcuni parlano del XII secolo) diviso in diciotto capitoli è conservata al Bhandarker Oriental Research Institute di Pune, si descrivono con grande precisione la dieta, i rituali e le tecniche di allenamento di un lottatore professionista dell’India antica.

Quattro Brahmini e una giovane donna si allenano nei pressi di un tempio. Illustrazione settecentesca di un testo del XII secolo. Fonte: https://twitter.com/SchoolVedic/status/1000729650794934275

In Occidente il Malla Purāṇa, a quanto ne sappiamo, non è mai stato pubblicato, e le prime notizie che lo riguardano si devono a Norman E. Sjoman, che ha avuto modo di studiarlo negli anni ’90.

Norman, uno studioso canadese laureato in sanscrito all’Università di Pune, praticante di Yoga Iyengar, in un libro pubblicato in India nel 1996, “The Yoga Tradition of the Mysore Palace2, parla delle affinità tra gli esercizi del Malla Purāṇa e lo Yoga moderno, citando il “Saluto al Sole” ed una serie di diciotto āsana (posture) – praticati ancora oggi nelle scuole di Yoga – che sarebbero descritti nell’antico manuale.

Già queste scarne notizie per noi sono di grande interesse, perché rivelano:

  1. L’esistenza di atleti professionisti nell’India antica;
  2. L’assenza, al contrario di ciò che pensiamo comunemente in Occidente, di una linea di demarcazione tra Yoga e Sport.

Ma il “Purāṇa dell’Atleta” ci riserva ben altre sorprese: innanzitutto è un libro rivelato da Kṛṣṇa ad una jāti (“famiglia”, “clan”) di Brahmini, e quindi può essere considerato un testo sacro, ovvero apauruṣeya, parola sanscrita che significa “non di origine umana”;

In secondo luogo, la jāti che lo ha custodito gelosamente per secoli, tramandandolo di padre in figlio, è quella dei brahmini Jyesthimalla, famosi almeno dal medioevo come atleti, guardie del corpo e guerrieri3.

Visto che i brahmini sono, per noi, l’equivalente dei sacerdoti cristiani, facciamo fatica a credere ad un prete ginnasta o un prete guerriero, ma approfondendo le ricerche abbiamo scoperto che si tratta di figure tutt’altro che rare in India: si chiamano āyudhajīvin, parola che significa letteralmente “vivere con le proprie armi”.

Due brahmini impegnati in un incontro di lotta. Dai simboli disegnati sulla fronte si intuisce che si tratta di un prete shivaita (a sinistra) e di un prete vaishnava (a destra). Fonte: https://citytoday.news/vajramushti-kalaga-to-begin-in-a-while/

C’è una notevole differenza tra l’India reale e quella che ci insegnano nelle scuole di Yoga, e in certi casi nelle università, e i Jyesthimalla ne sono la prova vivente.

Abbiamo scritto vivente perché le scuole di lotta dei Jyesthimalla sono ancora attive nel Gujarat, nel Rajastan a Mysore e a Hyderabad, nel Telangara. Se ne visitassimo una le polemiche che si sono accese in Occidente sulla differenza tra Yoga e Sport probabilmente svanirebbero come neve al sole, perché potremmo vedere dei brahmini (i custodi della tradizione spirituale) che si allenano secondo le tecniche antiche, mescolando tranquillamente i riti alle divinità, le posture dello Yoga, la meditazione, il malla-khamba (lo Yoga aereo) e la ginnastica callistenica.

Ma andiamo avanti: l’immagine che segue è la copertina di una pubblicazione del 29 settembre del 1907. In basso si può vedere il nome di Aurobindo Ghose, uno dei maestri spirituali più famosi del ‘900, creatore dello “Yoga Integrale”. Il titolo Bande Mataram (Vande Mātaram in sanscrito)fa riferimento a una canzone presente in un romanzo del 1882, “Anandamath”, del poeta bengalese Bankim Chandra Chatterjee e nel film quasi omonimo – Anand math – girato nel 1952 dal regista indiano Hemen Gupta.

Vande Mātaram si può tradurre con “Salute a te Madre divina” e se leggiamo il testo, a prima vista pare uno dei molti canti devozionali che siamo abituati a sentire nelle scuole Yoga e negli Ashram:

[…] Tu sei Durgā, Signora e Regina. Con i tuoi pugni pronti a colpire e la tua spada di luce. Tu sei Lakshmi seduta sul trono di Loto […]”.

Anandamath invece significa “Monastero della beatitudine”.

Nessuno di noi sinceramente, può trovare strano il fatto che un maestro di Yoga (Aurobindo, considerato un realizzato in vita dai suoi discepoli) sia collegato a un canto devozionale (“Salute a te Madre Divina”) e ad un racconto che parla di un “Monastero della Beatitudine”, ma il nostro punto di vista può cambiare repentinamente se scopriamo che:

  1. Vande Mātaram è “l’inno dei Combattenti della Libertà indiani” dichiarato dal governo, nel 1950 “Canzone Nazionale”, l’equivalente del “Va’ pensiero” per i patrioti risorgimentali o di “Bella Ciao” per i partigiani.
  2. La Madre Divina del titolo, chiamata anche Durgā o Lakshmi, non è la Madonna o la Dea madre, ma specificamente la Grande India.
  3. Il Monastero del racconto, Anandamath, è il covo di uno dei gruppi di sannyasin – in sanscrito saṃnyāsin – che, dopo la grande carestia bengalese del 1770, terrorizzarono gli inglesi con le loro azioni di guerriglia.

L’inno Vande Mātaram (o Bande Mataram) ha svolto un ruolo vitale nel movimento per l’indipendenza indiana. Fu cantato per la prima volta in un contesto politico da Rabindranath Tagore nella sessione del Congresso nazionale indiano del 18964.

http://www.aurobindo.ru/workings/other/peter_heehs-the_lives_of_sri_aurobindo_e.htm

Nel 1905 divenne la canzone simbolo dell’attivismo politico e del movimento di libertà indiano, intonata in tutte le riunioni politiche e nelle manifestazioni di strada5 e Sri Aurobindo la definì “Inno nazionale del Bengala”6. Sia la canzone che il romanzo che narrava la gesta dei sannyasin – l’Anandamath – furono banditi dal governo britannico, e molti patrioti finirono nelle carceri coloniali solo per aver cantato il Vande Mātaram o aver diffuso il libro. Il divieto fu annullato solo con l’indipendenza dell’India, nel 1947.

Nel 1950 Vande Mātaram – depurata dei riferimenti alle divinità Hindu per non offendere i patrioti islamici – fu dichiarata la “canzone nazionale” della Repubblica dell’India7

Difficilmente sui libri di storia occidentali troverete traccia dei guerriglieri descritti nell’Anandamath: il primo studio pubblicato in occidente, a quanto ci risulta, è un saggio del 2005, pubblicato dalla Oxford University Press, intitolato “Anandamath, o La Sacra Confraternita” Gli inglesi definivano i patrioti sannyasin “Banditi”, esattamente come gli occupanti nazisti definivano i partigiani italiani e francesi, e li accusavano di atti di delinquenza comune, ma nei libri di storia indiani la loro lotta, è celebrata come l’inizio della Guerra d’Indipendenza, e viene definita “The Sannyasin Rebellion”, la rivolta dei sannyasin.

Dato che saṃnyāsin in sanscrito significa “rinunciante”, e indica lo yogin che si ritira nella foresta per dedicarsi alla meditazione e alla ricerca dell’unione con Dio, chi ha una conoscenza non superficiale dello Yoga, penserà, quasi sicuramente ad un equivoco – “Come è possibile che uno yogin si impegni in azioni di guerriglia, agguati e atti terroristici?” – ma basta fare una ricerca sulle poche pubblicazioni in lingua inglese dedicate ai “Combattenti per la Libertà bengalesi”8 per fugare ogni possibile dubbio: i sannyasin di cui parla l’Anandamath, erano indubbiamente yogin, e, cosa che dà ancora più da pensare, le loro gesta rientrano nella millenaria tradizione dello Yoga.

Sono loro, gli yogin9, i creatori e i custodi delle arti marziali indiane ed ogni qualvolta un invasore minaccia la Madre India, escono fuori dalle foreste, dalle caverne e dagli “Akhara” (gli Ashram dedicati specificamente allo studio della ginnastica e delle arti marziali) e si gettano contro il nemico, sia esso Alessandro Magno, i Mongoli, i Persiani o l’impero britannico.

Battaglia di Thanesar. Fonte: By Basawan – V&A Museum, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=25559635

L’esistenza di formazioni militari di yogin e il timore che incutevano per la loro conoscenza delle arti marziali traspare chiaramente dalle testimonianze dei Mughal. Nell’immagine precedente, ad esempio, è raffigurata la Battaglia di Thanesar avvenuta il 9 aprile del 1567 nei pressi del fiume Ghaggar-Hakra, nell’india Himalayana.

Da una parte c’erano le truppe del grande imperatore Mughal Akbar dall’altro due gruppi contrapposti di yogin.

Nessuno sa di preciso quale sia stato l’andamento dello scontro, concluso con una pesante sconfitta dei sannyasin, ma la diversa entità dei due schieramenti e il diverso tipo di armi usati dai contendenti (dati trascritti con grande precisione dai Mughal) possono essere fonte di interessanti riflessioni:

L’esercito di Akbar era formato da 8.000 uomini dotati di cannoni, fucili a miccia e 75 elefanti da guerra. I sannyasin erano invece 800 ed erano armati, come sembra di capire dall’immagine, con dischi da guerra (cakra), mazze e tridenti rituali.

Nonostante l’enorme squilibrio tra le forze in campo, in nessun testo arabo o indiano si descrive la battaglia di Thanesar come un massacro; nessuno parla di un esagerato, e non onorevole, uso della forza contro dei poveri monaci erranti. Viene quasi da pensare che se avesse avuto a disposizione meno di 8.000 uomini armati di cannoni e fucili, Akbar si sarebbe ben guardato dall’affrontare i sannyasin. Del resto, le abilità marziali degli yogin erano note agli islamici sin dal XII secolo, quando gli invasori persiani si trovarono a dover fronteggiare i Siddha Nath10.

Alf Hiltebeitel, nel libro “Their name is Legion11 e William Pinch nel suo “Warrior Ascetics and Indian Empires”, affermano che gli yogin guerrieri rappresentarono una spina nel fianco degli invasori islamici per cinque secoli e giocarono un ruolo chiave nell’avvento degli inglesi in India. Infine, nel XVIII secolo, delusi dalla politica dell’Impero britannico, presero le armi contro i nuovi invasori e dettero il via alla lotta per l’indipendenza che si sarebbe conclusa nel 1947.

Potremmo continuare a lungo, ma già così pare evidente che in Occidente, abbiamo una visione parziale dello Yoga e di ciò che possiamo definire Tradizione Hindu, basta elencare alcune delle notizie che abbiamo dato in questa presentazione per renderci conto delle nostre lacune;

Gli yogin occidentali, in genere:

  • Ignorano l’esistenza dei brahmini lottatori.
  • Ignorano che i sannyasin sono considerati i padri dell’India moderna (tanto è vero che a loro è dedicato l’inno nazionale dei patrioti indiani, il Vande Mātaram).
  • Non sanno che la Madre divina di cui parlano maestri moderni come Ramakrishna e Vivekananda, non è la Madonna, come, pensano in molti, né la personificazione dell’energia cosmica, ma è l’India liberata dal giogo degli invasori.
  • Non sanno che gli yogin erano i custodi delle arti marziali indiane e che almeno dal XII secolo erano organizzati in gruppi di guerriglieri.

Sono così tante le cose che non sappiamo o alle quali non abbiamo mai dato importanza, da aver costruito, negli ultimi cinquanta, cento anni, un’immagine dello Yoga decisamente diversa da quella che presumibilmente era in origine. Intendiamoci, la verità non è stata nascosta da nessuno: è scritta a chiare lettere nei musei e nei libri di storia e, per trovarla, basta semplicemente avere la volontà di cercarla, al di là di pregiudizi, credo religiosi e sovrastrutture culturali.

Bibliografia

1 Stiamo citando il giornalista indiano Devdutt Pattanaik (https://www.mid-day.com/articles/devdutt-pattanaik-krishna-the-wrestler/17259162).

2 Norman E. Sjoman, The Yoga Tradition of the Mysore Palace (2nd ed.). New Delhi, India: Abhinav Publications. (1999). ISBN 81-7017-389-2.

3 Fonti:

  • Joseph S. Alter, “The sannyasi and the Indian wrestler: the anatomy of a relationship“. American Ethnologist. 19 (2-May 1992). ISSN 0094-0496.

  • Joseph S.Alter, The Wrestler’s Body: Identity and Ideology in North India. University of California Press. (1992). ISBN 0-520-07697-4.

4 Fonte:

5 Fonte:

6 Sri Aurobindo commentando la sua versione in inglese di Vande mataram scrisse: It is difficult to translate the National Anthem of Bengal into verse in another language owing to its unique union of sweetness, simple directness and high poetic force.”

Fonte:

  • Bankim Chandra Chatterjee: Essays in Perspective, Sahitya Akademi, Delhi, 1994, p. 601.

7 “Canzone nazionale” è il termine usato per distinguereVande Mataram dall’inno nazionale indiano che è “Jana Gana Mana”.

8 Vedi:

  • Lorenzen, D.N. “Warrior Ascetics in Indian History”. Journal of the American Oriental Society. 98 (1- 1978).

  • Marshall, P.J.. Bengal: the British Bridgehead. The New Cambridge History of India. Cambridge, UK: Cambridge University Press. (1987) ISBN 978-0-521-25330-7.

9 Nei testi gli yogin combattenti sono indicati con vari nomi, a seconda del loro lignaggio e delle diverse divinità a cui erano devoti: Erano conosciuti con vari nomi, a seconda del lignaggio di appartenenza, per esempio Sannyasin, Natha Yogi, Naga Yogi, Gosain, Goswami, Bhairagi;

10 William Pinch, Warrior Ascetics and Indian Empires, Cambridge University Press, (2012) ISBN 978-1107406377

11 Alf Hiltebeitel, Their name is Legion, in Rethinking India’s Oral and Classical Epics, University of Chicago Press, ISBN 978-0226340500,

Paolo Proietti

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