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Foto di Enrico Procentese

“Il suono della mia voce agisce come una fune. Proprio come quando afferrate una fune per entrare e uscire dalle profondità di una grotta, così con l’aiuto del suono potete avventurarvi dentro e fuori dalla vostra mente”.
— Swami Satyananda Saraswati

Nonostante l’apparente semplicità, si tratta di una potente tecnica, decisamente versatile e con diverse applicazioni: rilassamento profondo mentale, emozionale e fisico, migliore gestione dello stress e dei processi di apprendimento, armonizzazione dell’inconscio profondo, risveglio del potenziale interiore, meditazione. Non è sonno, non è concentrazione. Basta muovere la mente da un punto all’altro, restando consapevoli di qualsiasi esperienza possa emergere. In due parole Yoga Nidra.

A congegnare questo metodo sistematico, in cui il contatto con la dimensione subconscia e inconscia avviene spontaneamente, è stato Swami Satyananda Saraswati, adattandolo dalla pratica tantrica tradizionale di nyasa, a partire dalla rotazione sistematica della coscienza attraverso il corpo come aspetto caratteristico. Un sonno dinamico, psichico, yogico, in cui si appare addormentati ma la coscienza funziona separata dalla consapevolezza esteriore e dal sonno. In Yoga Nidra la coscienza è in uno stato ipnayogico, tra la veglia e il sonno, in cui il Sé è pronto a ricevere istruzioni.

Si tratta essenzialmente di un metodo di pratyahara: la consapevolezza viene progressivamente ritirata dal mondo esterno, dal corpo, dal respiro, dalla mente conscia e infine dalla mente inconscia, e rimane concentrata esclusivamente sul canale uditivo per evitare che la coscienza si ritiri completamente e il sonno prenda il sopravvento. Gli altri terminali sono inattivi e il loro collegamento con la corteccia cerebrale è dissociato. Ma il cervello è completamente all’erta. In questo sta probabilmente la principale differenza con l’ipnosi, durante la quale il cervello resta completamente isolato dai canali sensoriali, la sua conoscenza è limitata e le sue risorse condizionate.

La filosofia yogica e la psicologia moderna condividono il processo creativo di tutte le sofferenze: se la mente è tesa, anche lo stomaco sarà teso e se lo stomaco è teso, tutto il sistema circolatorio sarà teso. Quindi, per potersi rilassare completamente, occorre liberare le tensioni interne del corpo, delle emozioni, della mente. Il sistematico rilassamento di una pratica di Yoga Nidra equivale a diverse ore di sonno privo di consapevolezza, durante il quale ristrutturiamo e riformiamo dall’interno la nostra intera personalità, bruciamo i vecchi samskara e le abitudini, permettendo alle memorie profonde di emergere dalle profondità dell’inconscio. La mente diviene obbediente e attraversa una fase molto ricettiva, poiché è azzerata ogni forma di dissipazione e vengono risvegliate le sue strutture emozionali.

La mente subcosciente ha un proprio linguaggio basato su simboli, colori, suoni. Sono questi gli archetipi che emergono dalla dimensione psichica durante la pratica di Yoga Nidra. La visualizzazione guidata di immagini conduce a risoluzione conflitti, desideri, memorie e samskara sepolti. E nello stesso tempo costituisce la chiave per il risveglio di un individuo provvisto di nuova creatività e di risorse illimitate di conoscenza.

“Quando avete visualizzato interiormente il fiore, completamente e chiaramente, e sapete che lo state visualizzando, siete sul piano del subconscio. Quando avete visualizzato il fiore, esattamente con gli stessi colori e dimensioni, ma non siete consapevoli della visualizzazione, quando non siete consapevoli del tempo e dello spazio, quando il procedimento della visualizzazione è oltre ogni cognizione e non siete consapevoli del simbolo, ma c’è solo un fiore, esattamente come lo vedete ora, allora voi siete svegli nella buia notte dell’anima. Siete emersi dall’inconscio totale, e questo stadio è seguito dalla totale eliminazione del simbolo, poiché in samadhi non vi è forma. Tutte le forme, simboli e concetti si fondono completamente in quella supercoscienza omogenea”.
Parola di Swami Satyananda Saraswati

La pratica dura generalmente dai 20 ai 40 minuti secondo una sequenza prestabilita, a una velocità che tiene la mente in movimento costante, per scongiurare il torpore, ma che le permette di capire e seguire ogni istruzione. Assunta la posizione di Savasana (del Cadavere, dal sanscrito) in una stanza tranquilla, al riparo da eventuali disturbi, coperto il corpo e focalizzata la mente sui suoni esterni, il viaggio lungo il confine tra subconscio e inconscio prende il via dal Sankalpa, un proposito o una risoluzione potente per riformare la propria direzione lungo linee positive. È come piantare, all’inizio della pratica, il seme dell’idea nel terreno reso fertile del subconscio. Questo seme potente e profondo alla fine si manifesterà a livello conscio, andando a incidere sul proprio schema di vita. Altrettanto importante è evitare, al termine della pratica, il brusco passaggio da uno stato così profondo a quello di veglia cosciente. Si risale dalle profondità passo passo, gradino per gradino. Hari Om Tat Sat è l’ultima istruzione. Si riprende la mente conscia, si afferra lo stato di veglia. Di ritorno dalla soglia del samadhi.

Viola Shanti

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