Tras in spagnolo vuol dire dietro. Form in inglese è un oggetto delimitato nello spazio, mentre la parola Azione è costituita da movimento e volontà.
Un cambiamento è il risultato di una trasformazione, ossia il potere dell’azione di cambiare la forma del passato.
Come possiamo accogliere il cambiamento che la pratica yogica sollecita costantemente nella nostra vita?
Capita molto spesso che allievi e colleghi yogin mi parlino delle loro (apparentemente) repentine diversità di opinione e cambiamento rispetto a ciò che credevano o pensavano pochi giorni prima; sorpresi di essere cambiati a loro insaputa, con la sensazione e l’urgenza di doversi adeguare al cambiamento avvenuto.
Quando “cambiamo” è come perdere due taglie… dobbiamo modificare i nostri abiti, adattarci alle nostre nuove misure.
Per comprendere, insieme, questo mistero occupiamoci prima di capire meglio che cos’è la forma.
Anche se visibile, una forma è vacua, la nostra mente pensa di vedere un solido, ma la scienza e lo yoga hanno compreso che si tratta di aggregati di atomi che attivano cellule in continuo mutamento tenute insieme solo apparentemente da contorni precisi, mentre è la loro “vibrazione/relazione“ che le collega o scollega ad essa.
Data la vacuità di ogni forma la sua natura impermanente è aperta, malleabile, sempre pronta a divenire altro anche dal suo transitorio Sè.
Allora come mai la forma sembra stabile e possiede le sembianze di un solido schema?
Lo è grazie al suo passato.
Che cos’è il passato?
Che si tratti di codice genetico, esperienza sensoriale, o di un attimo fa, stiamo sempre parlando del passato, dell’eredità di una forma per la quale è indifferente che la sua qualità sia materiale, come un corpo o immateriale, come il pensiero. Ne consegue che la forma, pur essendo un entità non fissa, può mantenersi visualmente tale per un certo tempo nello spazio. In realtà ciò che avviene in modo impercettibile eppure costante è che la forma intrappolata nello spazio statico non resta uguale a se stessa. Pur sembrando ferma, tende al deterioramento se non le è permesso di evolvere. Le cause della corruttibilità della forma vanno ricercate non in questa (neutra per natura) ma nelle decisioni “non prese” o nelle azioni “non fatte” dalla mente.
L’azione è centrale nel cambiamento ed è persino possibile sviluppare l’abilità di accorgersene diventandone consapevoli “mentre” si attua, cioè mentre si compie l’azione. Il movimento che una azione compie nello spazio è vibrazione in grado di mutare la forma di chi lo compie.
Prendiamo ad esempio la pratica yoga: saliamo sul tappetino per compiere le azioni del respiro e delle asana, la nostra forma mentale e fisica non ha scelta, inizia a subire cambiamenti uno dopo l’altro: nella postura, nelle articolazioni, nel cuore, nell’anima, nelle varie coscienze.
Dopo un’ora di yoga non siamo più gli stessi di prima, non apparteniamo più all’eredità del passato, ci sentiamo più aperti, liberi, forti, chiari, consapevoli: cambiati.
Lo yoga addestra ad accogliere i piccoli cambiamenti nel nostro corpo/mente, quotidianamente ed è per questo che ci stupiamo quando dopo qualche tempo ci ritroviamo estranei a come eravamo.
Il Kaizen parla proprio di come abbracciare il cambiamento. Secondo la filosofia giapponese che aiutò la grande crisi del dopoguerra a riconquistare fiducia nella ricostruzione economica e spirituale del suo popolo (l’industria Toyota ne è un esempio) il cambiamento consiste nello studiare, imitare e migliorare.
In questi tre verbi è racchiuso il potere di un approccio al cambiamento meno “insormontabile”, sicuramente più lento e graduale per crescere e diventare più produttivi e capaci di lasciare le vecchie abitudini quasi senza accorgersi, facendo un poco ogni giorno, diventando bravi ad inserire il nuovo a piccole dosi all’interno della propria vita, senza alterarla con liste impossibili.
Il Kaizen che letteralmente significa “miglioramento continuo-cambiamento” ci insegna ad affrontare la vita un passo alla volta, riducendo immediatamente lo stress e aumentando la propria autostima quotidiana.
Nella cultura shintoista l’energia arriva dal basso e fluisce dalle radici verso l’alto come in una pianta, il cui principio è assimilare il nutrimento con il minimo sforzo. Il Kaizen non è un cambiamento radicale, ci insegna a convivere con il cambiamento creando il miglioramento e la qualità per tutta la nostra vita.
Ritrovo la celebrazione della consapevolezza del mutamento anche nella cerimonia del tè che strutturata in codici precisi, simboli e allegorie è stata nei secoli così potente da affermare la vittoria in campo persino dei Samurai. Come illustra molto bene la cerimonia del tè il rituale del Wabi-Cha, non c’è nè un creatore nè un creato, ma tutto nella sala adibita è disposto con assenza di gerarchie, per iniziare gli ospiti all’ascolto, al “non confronto”, alla semplicità e intima relazione tra le cose.
Un cucchiaino di bamboo indica il luogo dove possiamo depositare un Haiku, la tazza di tè rappresenta il concetto di vuoto e non deve essere mai completamente riempita. Un unico fiore adorna la sala, il gesto cerimoniale del versare il tè esprime la pura possibilità del versare, come i fiumi si riversano nel mare. Con questo rituale si evidenzia e amplifica la relazione tra le cose ed emerge l’unica vera esistenza: il valore dell’offerta, dell’amore.
Anche nello yoga praticando solo i movimenti essenziali per entrare ed uscire da un’asana e l’attenzione al respiro legato ai nuclei lungo la spina dorsale, diventiamo consapevoli che la vita è un dono visibile e invisibile, rendiamo forti anche le nostre fragilità integrandole, anzichè occultarle. La semplicità, come nella cerimonia del tè è il cambiamento che adorna la nostra esistenza.
Analogamente cosa accade quando viaggiamo? Certamente non è andare solo da un punto ad un altro, anche il viaggio è un catalizzatore del cambiamento: mentre ci trasporta ci trasforma, peccato che ce ne accorgiamo soltanto dopo essere ritornati!
Quando viaggiamo accadono molte cose, lo sguardo copre grandi distanze in breve tempo e si attiva una memoria che incapsula colori, odori, paesaggi, stati d’animo che rallentano all’infinito la vista dal finestrino di un treno o dall’oblò di un aereo.
Proviamo quell’ebbrezza dell’anima che invece di “andare” giace in ogni cosa che incontra, disordinatamente, senza logica, proprio come è in grado di agire la mistica catarsi del cambiamento.
Il viaggio soggioga l’anima in ogni luogo, a suo piacimento, sia nel corpo fisico che sottile, come un hard disk mobile, straripante di fotografie dinamiche del “qui e ora”; ed è proprio questo continuo e veloce agglomerarsi di “presenti” che determina il cambiamento di chi viaggia.
E a proposito del viaggio e delle cose su cui abbiamo riflettuto sinora: vi riporto integralmente questo brano che sembra ricapitolarne tutti i punti:
“…infatti la capacità dello svanire di una cosa in un’altra evidenzia il suo essere in relazione con il tutto. Ciò che svanisce in qualcos’altro è immortale, si trasforma ma non finisce, diviene.
La morte è unicamente nella resistenza allo svanire, non nello svanire in sè, che è sempre trasformazione. La morte è nell’identità personale, che separa e divide dal tutto e negli attaccamenti che questa identità produce.
Il senso dell’Io, la ragione, l’identità, è lo strumento attraverso il quale il cambiamento, lo svanire come trasformazione può diventare volontario e consapevole.Proprio per questo, l’Io può anche resistere al cambiamento e rifiutarsi di svanire nel processo della trasformazione, portando in essere la morte, che non esiste nello stato naturale, dove tutto è trasformazione, viaggio.” (1)
A noi yogi interessa conoscere. Comprendere la natura del cambiamento è una fiaccola sul tappetino, non vogliamo che la nostra pratica diventi austera e buia. Imparare ad accogliere il cambiamento è un potere che può sviluppare la mente ma è anche, e soprattutto, un diritto dell’anima.
Bibliografia:
- Wabi Sabi by Selene Calloni Williams, testualmente estratto dal capitolo “cha no yu, acqua calda per il tè, dal paragrafo: l’imperfezione.
- Il Pensiero Giapponese by Le yen Mai
Testo e disegni di Janine Claudia Nizza
Namaste al cambiamento 🕉️🙏❤️
Om Shanthi cara Sara
Un articolo dalla profonditá vertiginosa, espresso con la leggerezza di colei che vola alta sulla veritá. Namastè
Cara Concetta,
sono felice delle vette che tu splendida creatura sorvoli al mio fianco con ali messaggere di quintessenza nel flow della reciproca trasformazione.
Om shanthi per te namaste
Articolo ricco e stimolante. Namaste Janine!
Grazie cara Sara
So che mi leggi dal cuore
Namaste!
La fatica del cambiamento è trasformata dalla pratica yogica quotidiana in allenamento e rafforzamento dei muscoli della mente e flessibilità delle articolazioni neuronali. Con l’aiuto di gesti rituali l’Asana cerimoniale ci sostiene e ci sollecita a uscire dalla zona di comfort senza paura e con la forza metafisica del respiro ci lascia poi dolcemente trasformati, spiazzati, sorpresi come la crisalide uscita dal suo bozzolo. Grazie per queste belle riflessioni a Janine Claudia Nizza
Grazie Marialuisa
Affascinanti osservazioni e poi sono curiosa di capire meglio cosa intendi quando parli dell’asana cerimoniale
Ti riferisci al cerimoniale del rito del tè?
Grazie🥰 del tuo commento
Om Shanthi namaste
In un periodo storico dove sul Pianeta Terra l’umanità è chiamata a fare i conti con una Pandemia frutto e conseguenza di errori reiterati e perseverati nel tempo nel rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive, come nelle abitudini e nei comportamenti ecco che l’articolo di Janine Claudia Nizza è motivo di riflessione in merito alla necessità che in ogni individuo si manifesti la volontà di un cambiamento o meglio di una “trasformazione” oltre il regno di tutto ciò che è fisico, laddove nulla è andato perso.
Trasformazione, quindi, come atto di mutamento che si fa strada in un labirinto di dubbi su se stessi, mentre un passato poco alla volta si fa nuovo presente.
Un passato quindi che si fa “azione” e complice di quel “movimento che una azione compie nello spazio” che è “vibrazione in grado di mutare la forma di chi lo compie.”
Comprendere l’importanza di questa azione è un atto di crescita, è coraggio che affronta la paura, è abbracciare se stessi e accogliere il nuovo se, in un viaggio che mentre ci trasporta ci trasforma approda sulla costa di – citando – “Ciò che svanisce in qualcos’altro è immortale, si trasforma ma non finisce, diviene.”
E tra le strade percorribili, Janine Claudia Nizza indica lo Yoga come pratica per accogliere i piccoli cambiamenti nel nostro corpo/mente, quotidianamente.
Provare una forma di ebbrezza nell’accarezzare nel tempo il nostro ritrovarci estranei a come eravamo, come dopo un’ora di Yoga nel non appartenere più “all’eredità del passato” ma sentirsi più aperti, liberi, forti, chiari, consapevoli: cambiati.
Cony Ray (poeta)
Ho trovato il tuo pensiero interessante, grazie Cony. Questo dialogo tra chi scrive e chi legge porta il lettore a scrivere e lo scrittore a leggere… Tutto ciò mi sembra già un grande passo avanti verso il cambiamento INSIEME 🙏🕉️🌸
Om Shanthi Namaste
Bellissimo e profondissimo articolo.
Complimenti Janine. 😊💪
Grazie mille Fabio
Namaste
La maestra Nizza ci ricorda in ogni modo, con la sua pratica e con i suoi scritti, quanto il cambiamento sia già parte integrante del nostro essere. Farlo fluire è una pratica quotidiana. Grazie per aver acceso un’altra lanterna insieme a noi sul tappetino!
Carissima Francesca,
Grazie le nostre vite procedono insieme verso la trasformazione sul tappetino è una gioia averti vicina.
Namaste