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Così come il nostro carattere, le ossa e gli altri tessuti del corpo sono unici in ogni uno di noi. Ciò si manifesta nel modo personale di vivere lo yoga e può influenzare la nostra pratica fisica.
Sovente, quando si inizia a praticare gli asana, la rigidità di muscoli e fascia tendono a contrastare il movimento e a rendere difficoltose le posture.
Con il tempo, seguendo una pratica costante e regolare, i tessuti del corpo cambiano, i muscoli diventano più malleabili e forti, e la fascia meno rigida.
Quindi, se i limiti nei movimenti sono dovuti ai tessuti molli del corpo, è possibile sentire che, con sufficiente tempo e pratica continua, si riesce ad avanzare profondamente nelle posizioni. In questa fase, l’avanzamento nella pratica è spesso misurato da quanto si è vicini all’esecuzione perfetta di un determinato asana.
Però, per molti arriva un momento in cui ci si accorge che il corpo non va oltre nella postura. Nonostante tutta la preparazione per arrivare ad una determinata posizione il nostro corpo si ferma.
Quest’ultimo limite nel movimento non è necessariamente collegato alla tensione muscolare o restrizione fasciale ma alla forma e alla proporzione delle ossa.
Il concetto di variazione scheletrica, popolarizzato nello yin yoga da Paul Grilley, sta ad indicare che ogni persona ha una struttura ossea unica. Questo condiziona la pratica, cosicché un asana semplice per qualcuno può risultare complesso per qualcun altro.

Consideriamo un esempio pratico:

© Paul Grilley.com – foto utilizzata con permesso dell’autore

Nelle vertebre a sinistra (A) i processi spinosi (protuberanze sulla parte posteriore delle vertebre) sono più piccoli, più stretti e hanno più spazio tra di loro. Al contrario, quelli a destra (B) sono più grandi e con molto meno spazio tra di loro. Queste differenze non sono dovute a deformazioni o patologie, ma sono naturali variazioni scheletriche.
La forma delle vertebre lombari di sinistra indica chiaramente che tale segmento ha potenzialmente una maggiore capacità di estensione all’indietro rispetto a quello di destra.
Se portiamo questo esempio nelle nostre sale di yoga e consideriamo una persona con una schiena sana, ma con processi spinosi simile al segmento a destra, possiamo prevedere che questa, quando entra in una posizione di inarcamento (sia yin che yang), sentirà che la schiena si inarca poco, che il movimento si ferma e potrebbe incluso sentire dolore.
In questo caso il limite è dovuto alla forma e proporzione dei processi spinosi, i quali, avendo poco spazio fra di loro, comprimo il tessuto e si avvicinano fino al punto di fermare il movimento non appena la persona si inarca.
I limiti di movimento dovuti alla forma delle ossa non sono collegati alla dedizione, agli anni di pratica o a blocchi dei Cakra. Anche se con l’attività fisica e con lo yoga le ossa possono rinforzarsi, esse non cambiano di forma.
Riconoscere le variazioni scheletriche serve a comprendere che siamo unici e che non ci sono due persone che possano praticare la stessa posizione esattamente nello stesso modo, con le stesse indicazioni, e che possano percepire le stesse sensazioni o abbiano la stessa gamma di movimento potenziale.

La diversa capacità di inarcamento mostrata nelle immagini (C), (D) ed (E) sono probabilmente dovute alla diversa forma dei rispettivi processi spinosi. Queste tre praticanti hanno alle spalle vari anni di costante attività fisica, per cui è ragionevole pensare che le differenze non siano dovute a rigidità dei tessuti molli del corpo ma alla morfologia delle ossa. Processi spinosi più distanti e piccoli come in (A) offrono la possibilità di maggiore inarcamento come in (C). Processi spinosi più vicini come in (B) limitano il movimento di estensione all’indietro come in (D) ed (E). In questi due ultimi casi è utile modificare la posizione degli arti per minimizzare la compressione e stimolare in maniera ottimale i tessuti della zona lombare.

Arely Torres Delfin

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