“Se vuoi imparare, vieni; se vuoi continuare ad imparare, ritorna”.
— Nil Hahoutoff
Quando mi chiedono: “Che yoga fai?” ho imparato a rispondere, come hanno fatto i miei insegnanti con me, “Yoga!”, per poi invitare chi ha posto la domanda a venire a sperimentare in prima persona.
Nella tradizione classica indiana si fa riferimento a 4 sentieri : lo jñāna yoga o yoga della conoscenza, il karma yoga o yoga dell’azione; il bhakti yoga, la via devozionale; il rāja yoga, lo yoga reale codificato da Patañjali negli Yogasūtra. Strade diverse per la stessa destinazione: mokṣa, la liberazione.
Nell’ambito dello jñāna, ci si potrebbe chiedere: conoscenza di chi, di cosa? “Del manifesto, dell’ immanifesto e del conoscitore”1 risponde il Sāṁkhya, l’antico sistema filosofico indiano riconosciuto come ortodosso, benché “abbia proclamato l’indipendenza della ragione dall’autorità religiosa”2.
Sia gli Yogasūtra che il Sāṁkhya sono i testi più indagati e studiati, ma non esclusivi, in questo insegnamento che rispettando il percorso tracciato da Patañjali, propone riflessioni etiche, lavoro fisico su āsana e prāṇāyāma attraverso le tecniche dello Haṭha yoga3, il rivolgimento in sé con il ritiro dei sensi, la concentrazione che predispone allo stato meditativo imprescindibile al raggiungimento della destinazione finale.
Nella pratica proposta ci si pone in ascolto e in osservazione di Sé, primo passo per ampliare la visione e la comprensione fino alla Realtà Assoluta che si suggerisce di indagare nei suoi fondamenti fisici, sottili e causali e nei suoi principi con gli strumenti e il sapere depositati nei testi di riferimento sopra citati.
Integrare questo percorso che va dalla ragione alla conoscenza, è una delle caratteristiche dell’insegnamento proposto da Nil Hahoutoff, personaggio eclettico e complesso la cui pedagogia è ancora oggi diffusa attraverso gli insegnamenti dei suoi allievi diretti in particolare Patrick Tomatis in Francia e Claudio Conte, allievo e collega di Tomatis, in Italia.
Essere guidati da insegnanti che hanno scelto questo cammino e dunque non si pongono come guru, comporta che la curiosità e l’interesse iniziale lascino il passo alla profonda stima e fiducia nei loro confronti: seguire Patrick e Claudio con continuità permette di riconoscere in loro una grande sapienza, oltre che esperienza. Al contempo, conoscendo e comprendendo il loro lavoro, risulterà chiaro che difficilmente interverranno in maniera diretta e impositiva nel processo personale, non per scarso interesse, ma perché prediligono che lo si faccia in autonomia.
Dopo 17 anni di pratica più o meno continuativa (per distanze fisiche) intravedo il filo rosso di un insegnamento che promuove così una enorme libertà e che con essa implica un’altrettanto grande responsabilità verso se stessi, gli altri e ciò che ci circonda.
Ciò che segue è la visione personale di questa esperienza di apprendimento a partire dalla pratica fisica in cui, come terreno privilegiato, si prende atto di ciò che accade al proprio interno a partire dai sensi, dalle sensazioni, dalle percezioni.
Durante le lezioni settimanali, come pure durante i seminari, gli approfondimenti, i ritiri, chi pratica è invitatƏ a vivere un percorso di auto-osservazione attraverso cui sviluppare una sempre maggiore facoltà di discriminazione (viveka). Discriminazione intesa come facoltà percettiva che permette di distinguere tra stimoli differenti.
Tale sensibilità/capacità si sviluppa con il tempo e la costanza e permette di individuare e riconoscere limiti e blocchi, obiettivo imprescindibile questo se si vuole lavorare su di essi e dunque su di sé. Sul piano mentale, sempre nel rispetto del principio di satya (la Verità, Veracità, Autenticità), si è invitati a fare lo stesso: a riconoscere sempre più chiaramente i propri processi mentali (grande spazio in questo senso è riservato allo studio delle neuroscienze) e con essi anche i preconcetti e le abitudini – in una parola i condizionamenti – che troppo spesso definiscono il nostro agire.
Se insieme agli schemi posturali si riuscirà a lavorare con costanza e autenticità anche sugli schemi mentali, psichici, emotivi, intellettivi etc. e a intervenire su di essi, diminuendone l’ influenza, si creerà sempre più “spazio”.
Spazio vuoto. Vacuità, Śūnya o Śūnyatā, da cui potrebbe emergere Altro.
Una volta lasciate da parte le conoscenze, le esperienze, le convinzioni, (etc.) che hanno prodotto su di noi un effetto, un’eco (vāsā), la nostra personalità esteriore non può che ridursi, sbiadire per lasciare intravedere cosa riluce veramente al centro. Una volta, non solo compreso, ma insieme sperimentato sotto pelle tutto ciò, l’illusione (Māyā) anch’essa tenderà a sbiadire, svelando ciò che la sottende.
La pratica fisica e mentale, supportata dai testi, sostiene e alimenta questo percorso che come una scala a chiocciola si ripete, ritorna sui suoi passi per scendere via via sempre più in profondità. “Se vuoi imparare, vieni; se vuoi continuare ad imparare, ritorna” diceva per l’appunto Hahoutoff.
A volte la scala è in salita, a volte è in discesa. Quando ci si ferma, come una manna, arrivano i “ceffoni” metaforici degli insegnanti, che, forse senza neppure volerlo o saperlo, aiutano a riposizionarsi rilanciano dinamismo, entusiasmo ed impegno.
I miei insegnanti entrano sobri e austeri con i loro insegnamenti avvicinandosi con ali di farfalla, ma li affondando stabilmente nella coscienza con il piede di un elefante.
Chi era Nil Hahoutoff?
Questi brevi cenni biografici arrivano da altri studiosi e dagli aneddoti esposti da Tomatis durante le sue lezioni, Hahoutoff ha infatti lasciato il corpo nel 1982 e purtroppo non l’ho mai incontrato.
Di origine georgiana, Hahoutoff parte dalla Russia in seguito alla rivoluzione del 1917 approdando a Parigi dove incontra la pratica yoga, dopo quella sportiva e circense, che lo assorbirà giorno e notte (!) per dieci anni dal 1925 al 1935. A guidarlo il Maestro indiano Hiran Moy Chandra Gosh che lo sottopone ad una strenua formazione.
Nil nel periodo bellico entra a far parte della Resistenza e si spende molto nel ruolo di sabotatore. A fine conflitto inizia ad insegnare, cosa che farà fino alla sua morte.
Molto determinato e serio si impegna a diffondere la disciplina yoga in Europa diventando uno dei fondatori della FNEY – Fédération Nationale des Enseignants de Yoga– in Francia nel 1967.
A lui è dedicato il numero 219 del 2002 della rivista della FNEY Les Carnets du Yoga.
Nel suo insegnamento Hahoutoff coniuga competenze anatomico-fisiologiche che, dal punto di vista fisico, si ritrovano nel rigore delle indicazioni fornite per la realizzazione di asana, con gli insegnamenti ricevuti dal suo maestro indiano, sia per ciò che riguarda il grande spazio dedicato al respiro che per ciò che concerne lo studio dei testi.
L’insegnamento
È un insegnamento che si presta ad essere sperimentato ad ogni età e nelle diverse fasi e condizioni della vita: gli esercizi vengono proposti con dovizia di dettagli tecnici, ma fornendo anche possibilità di esecuzioni adattate nella forma (ma non nella sostanza) a seconda della situazioni personali. Non esistono per questo corsi dedicati ai principianti: ognuno pratica nel rispetto e nell’ascolto di sé a seconda del proprio stato.
Il libro Gymnastique évolutive pour tous, la “Ginnastica evolutiva per tutti”, raccoglie una serie di articoli che Hahoutoff aveva pubblicato settimanalmente dalla fine degli anni ’50 sulla rivista “La Nouvelle Hygiène”, in esso numerose pratiche vengono descritte nel dettaglio e rese fruibili nel proprio quotidiano.
L’obiettivo, che l’autore centra nei suoi articoli, è far comprendere ciò che si fa e con quale scopo.
“Tutta la sua pedagogia è un lavoro sugli strumenti e sulla capacità che l’essere umano ha di evolvere, di svilupparsi in tutte le sue componenti: corporea, sensibile, intelligente e spirituale”4.
Il lavoro fisico è esigente per alcuni aspetti e lento e meditativo per altri: interessante è accorgersi che questi due aspetti non sono necessariamente contrapposti. In sintesi si alternano fasi diverse all’interno di una lezione. Fasi che vanno dal momento preparatorio di ingresso nella pratica, a momenti più intensi (con la proposta di sequenze asana anche molto impegnative) sempre seguite dalla fase di osservazione in cui si metabolizza ciò che si è fatto; al momento del prāṇāyāma e del rilassamento finali.
Questi momenti, seppur differenti, non sono slegati tra loro al contrario compongono nell’insieme un unico ritmo armonico.
Centrale è il ruolo e l’attenzione sulla colonna vertebrale, che viene mobilizzata e che necessariamente comporta l’organizzazione e la mobilizzazione di tutto l’apparato muscolo- scheletrico. L’approccio in questo senso è anatomico-posturale, ma c’è di più…
Il lavoro sul corpo è funzionale allo sviluppo di una dinamica respiratoria sempre più consapevole e ampia, dinamica che viene illustrata con perizia fin dai primi incontri per comprendere realmente la meccanica del respiro in termini sia fisici che fisiologici, ma che viene illustrata anche dal punto di vista sottile come “prāṇa: soffio vitale”.
L’invito è che tale “soffio” venga vissuto, a poco a poco , sempre più pienamente perché è attraverso di esso che si può accedere a qualcosa di diverso, giungendo a conoscersi in profondità, magari fino al cospetto del proprio Sé, e forse, col tempo e l’ardore, ancor più in lontano.
1 Īśvarakṛṣṇa, Sāṁkhyakārikā – con commento di Gaupada, traduzione Corrado Pensa. Roma : Asram Vidya, 1994.
2 Marinetti, Il sistema Sāṁkhya. Torino: Lattes, 1897, p. 19.
3 Lo Haṭha yoga si struttura, per lo conosciamo, in epoca medievale a partire dal XI sec. dopo l’era comune per questo non è presente nei 4 sentieri classici inizialmente elencati.
4 Intervista a Patrick Tomatis disponibile qui: https://www.youtube.com/watch?v=OnLHcxCnaKU