Quando si parla di corpo nello Yoga subito si pensa a quello fatto di muscoli, tendini, articolazioni ed ossa.
E da lì tutti partiamo. Non ha senso parlare di spiritualità, energie sottili ed emozioni bloccate se prima non conosciamo nel profondo la materia di cui siamo fatti esteriormente. E non parlo di conoscenze anatomiche o quale movimento sia più adatto a sbloccare un’articolazione o a liberare una certa parte di noi. Non discuto la validità terapeutica di tali approcci né tantomeno il fatto che siano molto importanti per evitare infortuni o altre patologie legate a “vizi di forma”. In questo caso però, vorrei approfondire l’importanza del corpo come strumento di evoluzione.
Molti sentieri spirituali o filosofie legate alla non dualità vedono quest’ultimo come un qualcosa da trascendere a tutti i costi. Qualcosa di impuro da cui ci dobbiamo staccare per avere accesso a piani di coscienza più alti. La pericolosità di queste vie è di crearsi solo una forma pensiero talmente forte da credersi “puro spirito” quando in realtà si sta solo costruendo un’impalcatura fatta di parole su parole ma che non interagisce minimamente sulla nostra quotidianità. Una spiritualità fatta solo di dogmi, regole da seguire perché qualcun altro ci “ordina” cosa sia giusto o sbagliato o quale sia la lista di cose da fare per raggiungere l’illuminazione in 3,2,1, è solo un’altra illusione alla quale aggrapparci per evitare di fare un onesto lavoro su noi stessi. Considero molto più facile meditare in una grotta da soli, cercando il divino solo per un nostro percorso individuale che imparare a mettere a disposizione le nostre intuizioni per cambiare la forma della materia di questo nostro mondo.
Il corpo non è solo un involucro privo di importanza che contiene la nostra parte divina. Esso è anche lo strumento, attraverso il quale, possiamo cambiare le cose qui, su questo piano. La falla di un certo tipo di non dualità è il non accettare la nostra parte oscura, i nostri demoni e la nostra “densità” di esseri viventi. Il cercare di essere a tutti i costi pura luce è una trappola molto pericolosa. Siamo sul piano della dualità. E ogni persona che progredisce verso la luce aumenta anche la sua ombra. E finché non si avrà il coraggio di attraversarla sarà solo un mero tentativo di nascondere chi siamo in realtà. Se poniamo luce e ombra su due capi estremi di una retta, raffigurando così i due opposti, è impossibile cancellarne uno, rimanendo in equilibrio su quella stessa linea.
Oltretutto la vita non si sviluppa su un asse in un’unica dimensione. Quella linea si dovrebbe curvare su se stessa creando un cerchio o meglio un cilindro (prendendo in considerazione anche la profondità). Con questa visione capiamo meglio che luce e buio o qualsiasi altro esempio di dualità in fin dei conti non solo si toccano ma si compenetrano completamente. Quindi prima di parlare di “Tutto è Uno” si dovrebbe avere la capacità di accettare che nel tutto c’è anche l’ ombra, il buio e tutto quello che risiede nel corpo. Non scappando da una parte di noi si potrà trascendere la materia e di conseguenza la nostra densità di esseri umani. Ma proprio quella densità così imperfetta, così complicata, così particolarmente instabile può essere anche il punto zero da dove, non solo far partire la nostra evoluzione ma addirittura percepirla come strumento di crescita.
Personalmente credo che la più alta forma di spiritualità non sia quella raggiunta solo per se stessi. Non credo che il nostro percorso sia quello di illuminarci ognuno nella sua solitudine, dimenticando ciò che ci circonda. La domanda da porsi è: quello che sto facendo sta contribuendo a migliorare anche il mondo in cui sto vivendo ora e soprattutto le altre persone che sono attorno a me? Perché per dire che “Tutto è Uno”, a mio parere bisogna prima imparare a percepire tutti e non solo noi stessi.