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Quanto corpo mettiamo in questo yoga, ma mettiamo altrettanta coscienza fisica?
Siamo abituati alla performance, da sempre. Da quando impariamo a confrontarci col mondo, sin da piccoli, abbiamo gli occhi puntati addosso. Il corpo è il mezzo con il quale ci confrontiamo con l’ambiente esterno, la nostra pelle, quasi, ne delimita il confine. Ci avete mai pensato? Ci sono i nostri sentimenti, le nostre emozioni, lo spazio che ci circonda e poi c’è il nostro corpo che la nostra mente razionale ha imparato bene a tenere separato da tutto il resto.
Così che il corpo diventa quasi un filtro, un setaccio per far passare dentro ciò che viene da fuori e viceversa.
Col nostro corpo ci facciamo di tutto: lo usiamo per divertirci quando siamo giovani saltando e ballando a ritmo di musica. Spesso lo violiamo ingerendo cibo non adatto al nostro metabolismo o non ingerendone affatto portandolo a uno stress che non si merita. Lo sottoponiamo a orari ingestibili lavorando fino a notte inoltrata o lo costringiamo a un divano per giornate intere senza alcuno stimolo. La verità è che il nostro corpo non è solo quello strato di pelle che separa il Noi dagli Altri. Sentite il vostro corpo? Sapete cosa vi sta suggerendo? Comunicate con esso?

Quando fate un Adho Mukha Svanasana o un Malasana, sentite veramente cosa sta accadendo alle vostre gambe e ai vostri piedi? Vedete, in un mondo dove la performance e il corpo sono diventati un metro di giudizio e di accettazione, abbiamo perso la coscienza fisica, ovvero la capacità di percepire il nostro corpo e con essa anche quel bellissimo diritto di esistere che è insito nel primo chakra che sta alla base di ogni individuo evoluto.
Non siamo in grado di comprendere ciò che il corpo ci comunica, non siamo capaci di comprendere i nostri istinti. In poche parole abbiamo perso il contatto con quella coscienza fisica che rappresenta le nostre fondamenta, le nostre radici.

Il nostro primo chakra è fortemente danneggiato e, così, anche tutta la nostra evoluzione. Sapete, per potersi ergere in alto, bisogna avere solide radici.
Il primo chakra rappresenta le nostre fondamenta, il nostro radicamento con la Terra e il nostro diritto di esistere in quanto esseri umani fisici, con esigenze fisiche di sopravvivenza.
Non guardate, in questo contesto, al termine ‘sopravvivenza’ come a un qualcosa di negativo. Siamo spesso abituati a considerare una persona che ‘sopravvive’ come qualcuno che non si sta, realmente, assaporando e godendo la vita. Ma sopravvivere, nel contesto del primo chakra, significa sapersi reggere in piedi con le proprie forze, nel rispetto del proprio diritto di esistere e di vivere una vita dignitosa. Quando abbiamo un primo chakra bloccato, siamo perseguitati da problemi di sopravvivenza legati alla salute, all’abitazione, al denaro, ai soldi. E siamo sempre in uno stato di allerta iperstimolata. Per quanti sforzi facciamo, ci pare sempre che le nostre fondamenta e la nostra sopravvivenza siano minacciati. Da cosa non sappiamo veramente spiegarcelo.

Il primo chakra è la nostra coscienza fisica. E’ la prima cosa che sviluppiamo già all’interno dell’utero di nostra madre: la capacità di sentire il nostro corpo.
Quante volte abbiamo fatto yoga sul nostro tappetino tanto per farlo, tanto per raggiungere una posa, tanto per arrivare a toccarci le punte dei piedi con le mani a dimostrare al nostro Ego che eravamo dei buoni yogini e fieri di avere tutti gli sguardi addosso. Ma per fortuna, lo Yoga con Y maiuscola, non prevede che ci siano occhi puntati addosso a nessuno, in realtà.
Ma sperare di raggiungere le dita dei piedi con le mani, magari anche valicando di gran lunga i limiti di questo momento, non significa avere coscienza fisica, ma solo oggettivizzare il nostro corpo. Come racconta Anodea Judith nel suo manoscritto «Il libro dei Chakra», separati dall’esperienza del nostro corpo, in realtà, siamo separati dalla nostra vitalità, dall’esperienza naturale e dalla nostra più profonda verità di base. Se siamo separati dal nostro corpo, le nostre azioni diventano compulsive. La disconnessione dal corpo è una vera e propria epidemia culturale perchè ci separa dalle più vere radici dell’esistenza.

Senza la coscienza fisica abbiamo ben poche speranze di raggiungere il Samadhi, l’ultimo ramo descritto da Patanjali. Se non abbiamo coscienza del nostro corpo non sapremo sentire e percepire i nostri sentimenti e i nostri desideri (2° chakra); se non sapremo individuare i nostri desideri non saremo in grado di attivarci per raggiungerli (3° chakra); se non ci realizziamo non abbiamo fiducia in noi stessi, ci chiudiamo e non riusciamo neppure ad essere amati e ad amare nel modo giusto (4° chakra); se non abbiamo relazioni anche la nostra capacità di comunicazione ne sarà inficiata (5° chakra); se non siamo in grado di comunicare e interagire con l’esterno non possiamo acquisire nuove conoscenze (6° chakra); se non possiamo conoscere non possiamo giungere alla conoscenza suprema dell’Universo (7° chakra). Come potete evincere, tutto parte della nostra coscienza fisica.
La coscienza fisica ci radica nel qui e ora, uno degli aspetti essenziali della pratica Yoga, sentirsi nel presente. Vi siete sentiti davvero presenti mentre praticavate? Eravate nell’attimo, coscienti del vostro corpo in movimento? O quelle posizioni di yoga erano solo e semplici esercizi volti al raggiungimento di un risultato?

Lo Yoga dovrebbe insegnarci molto sulla nostra coscienza fisica, mostrandoci come riappropriarci delle nostre radici più profonde, quelle che abbiamo maturato sin dalla pancia della madre. Senza quelle basi non possiamo procedere verso l’illuminazione. Molto spesso chi si avvicina a pratiche come lo yoga tende ad avere un’energia molto superiore, incanalata principalmente verso l’alto, verso i chakra superiori della comunicazione (5° chakra) e della conoscenza (6° chakra), lasciando da parte quelli inferiori. La verità è che non può esserci pensiero consapevole e coscienza consapevole senza la giusta percezione fisica. Fare veramente esperienza della vitalità del nostro corpo significa sperimentare uno stato profondamente spirituale, raggiunto accettando le nostre tendenze naturali più che negandole attraverso pratiche ascetiche. Radicarsi, mettere radici, significa sentirsi presenti nel qui e ora, stabili e, pertanto, sicuri di noi stessi. Le posizioni di Yoga che possono maggiormente avvicinarci alla nostra coscienza fisica sono quelle che prevedono un forte radicamento, come Malasana, Prasarita Padottanasana o i Guerrieri (Virabhadrasana).

In Odaka Yoga diamo molta importanza ai guerrieri nel nostro flow. Sono la parte di arti marziali di cui questa disciplina è particolarmente intrisa e portano alla luce tutte le emozioni più ancestrali che fanno parte del nostro patrimonio genetico, sollecitando i nostri istinti di sopravvivenza. Nel Flow del Guerriero Odaka le posizioni di “guardia“ e i piccoli movimenti di transizione che si intervallano gli asana Virabhadrasana I, II e III, risvegliano le emozioni legate agli istinti di lotta e fuga, radicano fortemente gli arti inferiori e ci obbligano ad avere una precisa stabilità per consentire comunque la fluidità dei movimenti.
In Odaka non portiamo l’attenzione alla posa da raggiungere, ma a tutto quel comparto fisico e dell’essere che esiste tra un asana e l’altro, nella transizione. Ed è in quello spazio temporale, nel passaggio tra una posa e l’altra che diventiamo coscienti del nostro corpo per ciò che è, non per ciò che si appena lasciato alle spalle o ciò che deve ancora raggiungere.
La coscienza fisica ci riporta nel presente, a questo mondo fisico in cui viviamo e dal quale non possiamo prescindere.
Amiamo il nostro corpo, siamone coscienti, ma non trasformiamolo in un giocattolo usa e getta.

Valentina Ferrero

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