Quando si sente dire “faccio Yoga“, ci viene da chiedere “… quale stile?” e la risposta è quasi sempre “… bah, insomma, non so… Yoga!” In effetti la risposta è più che giusta.
Oggi la confusione nasce da una visione dello Yoga come dottrina rigida e assoluta, dove i vari “tipi di Yoga” vengono catalogati, ma i confini sono pur sempre dei puri artifici mentali: comodi, ma non reali.
Lo Yoga andrebbe inteso in senso integrale. Integrale è ciò che non esclude, non allontana nessuna tecnica o visione, cercando di comprendere le motivazioni e le scelte di ognuna, senza giudicarle. In questo senso la pratica è rappresentata dai gesti quotidiani: svegliarsi, scendere dal letto, fare colazione, fare una doccia, uscire e percepire ciò che ci accade.
Un’esplorazione del contesto e della storia dal quale si sviluppa lo Yoga, inclusi i testi che contengono gli insegnamenti essenziali, la filosofia e la pratica, è vitale per comprenderlo, ma ci mostra anche quanto siano varie e sfumate le sue definizioni.
Questo ci permette di riconoscere che lo Yoga non è un’ideologia, una filosofia o una pratica data e fissa. E’ piuttosto un processo attraverso il quale l’individuo vive al meglio ciò che già è.
Le sequenze e la pratica intera sono assimilabili ad un viaggio che offre ad ognuno di noi la possibilità di comprendere che il bagaglio, emozionale e sensoriale, è già presente in noi prima del viaggio stesso. Esiste solo il viaggio e non c’è mai un inizio e mai una fine.
Da dove estrapolare allora un terreno comune? L’unica regola che si dovrebbe tenere presente è la mancanza di dogmaticità e pacchetti preconfezionati a cui conformarsi e credere. In questo viaggio si incontrano tecniche, pratiche, discipline con i loro opposti, suoni e silenzio, movimento e quiete, perchè in fondo nulla esiste senza il suo opposto. E quindi cosa rimane? Il nulla!
Schopenhauer diceva che non si può provocare artificialmente la comparsa di buoni propositi, ma che la si può favorire scartando gli altri. “Potremmo dire che il modo più facile per pensare cose buone è non pensare sciocchezze”. Lo stesso potrebbe valere per la necessità di creare categorie nello Yoga, nel delineare etichette. La cosa migliore sarebbe forse non pensare affatto, ma stare.
Secondo Patanjali, autore dei famosi “Yoga Sutra”, a cui molti fanno riferimento, ma dai quali molti prendono distanze, lo “yoga è l’arresto delle fluttuazioni mentali”. Tale arresto, non permanente né definitivo, è una sospensione. Procedere ad uno sgombero graduale della nostra vita, per poi mettere ordine, curare, mantenere il vuoto che ne risulta e vivere “ad occhi aperti”.
Marguerite Yourcenar (forse non un’insegnante di Yoga in senso stretto) ci invitava ad avere sempre gli occhi aperti su tutto su tutto ciò che nasce nel campo della conoscenza: sensazioni, sentimenti, emozioni, turbamenti, sofferenze…per poi posarsi.
Attenzione, respiro, pensieri, sguardi, voce, parole, gesti si posano a poco a poco.
E’ la vita intera che si posa.
E’ questo lo scopo: non galoppare costantemente seduti.