Preambolo: perchè si smette di praticare yoga?
Anna è una 40enne alla sua prima lezione di Hatha Yoga. Durante la lezione segue tutte le istruzioni dell’insegnante, comprese le varianti semplificate più adatte ai principianti. Al termine della lezione si accorge di essere distratta, stanca e con un doloroso cerchio alla testa. Anna si convince che lo Yoga non faccia per lei e decide di iscriversi piuttosto in palestra.
Questa situazione, non del tutto infrequente in un contesto di Yoga, in genere non attiva grandi riflessioni; si potrebbe liquidare al massimo con “lo Yoga non fa per Anna”, oppure “Anna non ha incontrato l’insegnante giusto per lei”. A nostro parere è invece fondamentale studiare questi fenomeni apparentemente poco rilevanti: ci interessa capire come mai Anna decida di non tornare più a praticare. Questo perchè i drop-out esistono non solo alla prima lezione di prova, ma a volte anche tra allievi assidui che scompaiono improvvisamente o riducono drasticamente la frequenza senza che ci sia una reale motivazione.
È infatti possibile che qualcosa della lezione o della relazione con l’insegnante riattivi improvvisamente memorie negative legate a esperienze precedenti non necessariamente accadute sul tappetino. Non tornare più a lezione diventa quindi un importante schema difensivo che protegge dalla riesposizione a queste memorie. Nella maggior parte dei casi tutto questo avviene in una forma implicita: le memorie sono sensazioni, stati di malessere indefiniti come nel caso di Anna, e non raggiungono la consapevolezza. Sono memorie di origine traumatica.
Il trauma riguarda ognuno di noi
Forse, fino a qualche mese fa, prima dell’emergenza da Coronavirus, abbiamo vissuto con la sensazione che il trauma fosse qualcosa di distante dalle nostre vite. Eppure, i traumi sono diffusi. Per immaginare la portata del fenomeno, è sufficiente pensare che, secondo dati Istat1, nel 2019 in Italia una donna su tre ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale.
Nella comunità scientifica si considera “traumatico” non tanto l’evento in sé quanto l’incapacità del nostro sistema nervoso di far fronte a quanto sta accadendo, e di recuperare un equilibrio. Tipicamente si sviluppa a partire da eventi improvvisi e imprevedibili, come appunto l’emergenza da Covid-19, ma potrebbe essere il risultato di eventi negativi ripetuti nel tempo. Il lockdown e tutto ciò che esso ha comportato ci ha fatto toccare con mano come il nostro corpo sia stato il luogo in cui le tensioni si sono accumulate.
Le ricerche ci insegnano come, a seguito di eventi traumatici, le persone tendano a cercare non tanto terapie psicologiche quanto discipline e pratiche che coinvolgono direttamente il corpo come i massaggi, l’agopuntura, il thai chi. Fra tutte queste discipline lo Yoga è certamente quella che ha avuto nell’ultimo decennio la più rapida diffusione. Bessel Van der Kolk, noto psichiatra americano studioso di traumatismo e promotore dello Yoga come supporto alla terapia, afferma che molti allievi arrivano alle lezioni di Yoga con traumi profondamente interiorizzati2.
Nell’ultimo decennio si è sviluppata negli Stati Uniti una lettura della pratica Yoga che tiene conto delle più recenti ricerche in psicologia clinica e neuroscienze. Questo sguardo scientifico sulla pratica millenaria ha dato origine ai cosiddetti approcci trauma-informed (“informati sul trauma”), ossia che tengono conto delle complessità psicologiche, emotive, neurobiologiche e somatiche legate al trauma: ognuno di noi porta sul tappetino, insieme al corpo, anche le cicatrici lasciate da esperienze traumatiche più o meno profonde.
Un approccio student-based
Somatic Competence Yoga si sviluppa all’interno di questo filone e, in particolare, dall’esperienza clinica dell’Istituto di Psicosomatica Integrata. È un approccio trauma-informed basato su un intenso lavoro di ricerca sul trauma. Per noi trauma-informed significa avere un approccio student-based il cui scopo è mettere il praticante e, in particolare, il praticante in difficoltà nella condizione di poter fare un’esperienza con il proprio corpo attraverso lo yoga. È un approccio relazionale e, sebbene possa integrarsi con diversi stili di yoga, non ha di per sé un obiettivo di crescita spirituale e non mira a spingere il praticante nell’esecuzione di posizioni via via più complesse. In altre parole non mette al centro la sequenza di posizioni ma l’allievo: non si tratta di un approccio flow-based.
La pratica Somatic Competence Yoga
Somatic Competence Yoga pone l’attenzione ad aspetti della pratica che potrebbero riattivare memorie traumatiche, tecnicamente definiti trigger, e a creare un contesto relazionale sicuro in cui accompagnare gli allievi in un’esperienza autentica che promuova la regolazione emotiva.
Alla sua prima lezione, Anna non ha fatto nulla di sbagliato, e nemmeno l’insegnante. Probabilmente l’allieva ha dato segnali di discomfort che semplicemente non sono stati riconosciuti.
Somatic Competence Yoga non è un vero e proprio stile di Yoga, ma piuttosto un approccio, una “lente” nella mente del docente, che lo guida nella conduzione della pratica e nel suo rapporto con gli allievi. Può quindi rappresentare per gli insegnanti un riferimento per ripensare la propria pratica, e per i praticanti un’esperienza che non solo restituisce un senso di benessere generale, ma allena e insegna ad accogliere le sensazioni che emergono dal corpo e, in ultima istanza, ad abitare il proprio corpo. In particolare, le pratiche forniscono agli allievi strumenti per allenare la loro competenza somatica, ossia la capacità di accogliere i segnali somatici per tradurli in consapevolezza utile a regolare i propri stati emotivi e far fronte agli eventi stressanti della vita.
Somatic Competence Yoga cura aspetti fondamentali come lo stile di conduzione, l’intensità e la complessità della lezione, e aspetti più fini come l’accoglienza, gli adjustment e il linguaggio. Sono elementi importanti da calibrare in base a ciascun gruppo, e fanno parte della capacità dell’insegnante di sintonizzarsi con gli allievi. Questa capacità di sintonizzazione non è semplice empatia ma ha solide fondamenta neuroscientifiche e può essere allenata attraverso formazioni specifiche.
In conclusione, il nostro approccio consiste in una cura del dettaglio che tiene conto prima di tutto del praticante e delle memorie inscritte nel suo corpo.
Alessia Baretta e Mark Morbe
1 www.istat.it/it/archivio/227272
2 Bessel Van der Kolk (2014). Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche