Lo Yoga, sistema indiano di pratiche fisiche, mentali e spirituali ha conquistato i russi fin dall’epoca zarista.
Secondo Olga Kazac (Russia beyond 2013): “Nella Russia zarista lo Yoga era piuttosto popolare. È qui che bisogna cercare le radici del suo ingresso nel Paese. Dalla fine dell’Ottocento fino all’inizio degli anni Venti del XX secolo, nel momento in cui si creò la struttura statale dell’Urss, l’intellighenzia artistica e del pensiero si interessò alla filosofia e allo Yoga. In particolare è noto che il regista teatrale Konstantin Stanislavskij utilizzasse nel suo metodo alcuni esercizi Yoga e procedimenti di psicotecniche buddiste, mirati allo sviluppo dell’attenzione e della concentrazione, al raggiungimento della “solitudine pubblica” sul palco che in sostanza sarebbe il dhyana, la meditazione totale. Un altro maestro teatrale, attore e regista dopo Stanislavskij che si occupò per tutta la vita di Yoga e di molte questioni inerenti alla tecnica della recitazione fu Mikhail Cechov”.
Agli inizi del Novecento cominciarono ad essere numerose le opere riguardanti lo Yoga che vennero pubblicate: “Hatha yoga”, “Jnana-yoga”, “Fondamenti di meditazione del mondo degli yogin indiani” di Yogi Ramacharaka, “Raja yoga” di Swami Vivekananda, “Yoga Sutra” di Patanjali e fu ripubblicata la “Bhagavad Gita”.
La “Bhagavad Gita” era comparsa per la prima volta sotto Ivan il Terribile (1530 – 1584) regalata allo zar da parte del Gran Mogol. La sua prima traduzione in russo (dall’inglese e dal sanscrito) uscì su decreto imperiale di Caterina II e con la benedizione del Santo Sinodo (“Questo libro fa bene all’anima”) nel 1788 nella tipografia di Nikolai Novikov.
Sempre nei primi anni del XX secolo (1915) nell’inquieta Russia prerivoluzionaria, fece la sua comparsa un mistico e ipnotizzatore ossia Georges Ivanovich Gurdjieff, uno dei più contraddittori filosofi del Novecento. In quegli anni è soltanto agli inizi del suo lavoro con “L’insegnamento della quarta via”, che per sua stessa affermazione, “contiene elementi di dottrina Yoga, sufi, del buddismo tibetano e delle tecniche poco studiate degli sciamani prese da varie tradizioni, tra cui quella mongola”.
Gurdjieff a seguito della rivoluzione comunista decide di raggiungere il Caucaso e poi l’Europa. Nel 1922 apre in Francia l’Istituto per lo sviluppo armonico dell’uomo in un castello a Le Prieuré, vicino a Fontembleau.
Altri due russi di sicuro interesse furono Nikolai ed Helena Rerich. Conoscevano i testi sacri dell’induismo ossia Bhagavad Gita, Mahabharata e Veda e portarono avanti insieme un cammino di studio spirituale utilizzando se stessi come strumenti dell’indagine. Nel 1918 andarono esuli in Finlandia guidati dal sogno di raggiungere l’Himalaya e, con esso, l’India, l’antica terra di spiritualità e splendore, patria dei Maestri e della Società Teosofica, “Dimora di Luce” dove il Buddha aveva ricevuto l’illuminazione.
Helena (autrice anche della traduzione in lingua russa della “Dottrina Segreta” di Helena Petrovna Blavatsky), sistematizzò l’insegnamento dell’Agni Yoga (Yoga del Fuoco) del Maestro Morya, lo Yoga più elevato, che non consisteva in posizioni fisiche ed in particolari respirazioni, bensì nella applicazione pratica, quotidiana, consapevole e cosciente di quei valori che tutte le tradizioni spirituali mondiali affermavano e che tutte le guide dell’umanità erano venute a portare sulla terra manifestandoli attraverso vite degne e luminose.
Anche ai tempi “repressivi” dello stalinismo lo Yoga continuò ad essere oggetto d’interesse di un gruppo di spiriti forti che lo praticavano soprattutto nei lager, riuscendo così a sopravvivere in condizioni disumane. In particolare è noto che il filosofo e scrittore Dmitri Panin, descritto nel romanzo di Aleksandr Solzhenitsyn “Il primo cerchio” con il nome di Dmitri Sologdin, si occupasse di Yoga con particolare perseveranza.
Una delle bellezze cinematografiche del periodo stalinista, l’attrice Tatjana Okunevskaja, scontò sei anni di gulag. Quando era ancora viva raccontò ai giornalisti che era sopravvissuta grazie “alle carote fresche e allo Yoga”. La Okunevskaja praticava, infatti, ogni giorno Yoga e conservò questa abitudine di regolare esercizio per tutto il resto della sua vita. Per sua stessa ammissione riuscì a rimanere in equilibrio sulla testa fino a un’età avanzata.
Importante fu anche il contributo di Boris Leonidovich Smirnov (1891-1967), chirurgo e professore universitario, esiliato per motivi politici ad Asgabat. Smirnov si appassionò allo Yoga e imparò da solo il sanscrito, iniziando nel 1939 la traduzione in russo del “Mahabharata” in 8 volumi. Nel 1956 uscì la sua traduzione commentata della Bhagavadgita, mentre il sesto libro del Mahabharata, il Bhishma Parva, con i materiali sulla filosofia samkhya e Yoga vide la luce nel 1963.
L’ingegnere Jan Ivanovich Koltunov (nato nel 1927) invece amava lo sport fin dai suoi primi anni. Quando era studente del Moscow Aviation Institute, cominciò ad interessarsi a pratiche di auto-miglioramento in un senso più ampio che lo portarono allo Yoga. Proprio come molti ingegneri in quegli anni trascorse molti mesi su campi di prova con orari di lavoro irregolari e molto intensi. L’esercizio fisico e lo Yoga lo aiutarono a sostenere questa pressione. Dopo i 50 anni fondò un gruppo basato su jogging meditativo, Yoga e wushu a Bolshevo vicino a Mosca e poi un club (chiamato Cosmos), avente un un successo crescente ed in grado di attrarre centinaia e, a volte, anche oltre un migliaio di persone.
Se nel periodo dello stalinismo lo yoga era un metodo di sopravvivenza, nel periodo del “disgelo” krusceviano e all’inizio del governo di Brezhnev divenne per le persone un hobby rivestito di un’aurea di romanticismo. Nel 1963 uscì il romanzo “La lama del rasoio” dello scrittore di fanstascienza sovietico Ivan Efremov, che in una lingua elegante e accessibile espose ai lettori sovietici i postulati principali della filosofia yoga.
Intanto sulla rivista “La gioventù rurale” iniziarono a uscire articoli sugli effetti terapeutici dello Yoga, pubblicati da Anatolij Nikolaevich Zubkov, il primo (e a quanto pare ultimo) insegnante certificato di yoga nell’Unione Sovietica. Zubkov fu mandato per un lungo viaggio di lavoro in India dove conobbe Guruji Shriram Kumar Sharma (allievo di Swami Shivananda), sotto la cui guida iniziò a praticare Yoga. Tornato in patria divenne un vero e proprio missionario, compiendo un enorme lavoro di diffusione della pratica indiana in Urss. Zubkov venne persino chiamato al n. 38 della Petrovka (sede della polizia di Mosca). Tutto però finì bene e negli anni Settanta egli scrisse la sceneggiatura del primo documentario sovietico sullo yoga dal titolo “Gli yogin indiani. Chi sono?”. Come fa notare la direttrice del Centro yoga iyengar Elena Ulmasbaeva, dopo che il documentario uscì sugli schermi cinematografici dell’Urss, iniziò la “moda dello Yoga”; di solito si trattava della stampa dei libri di Indra Devi o di frammenti dello “Yoga Dipika” di B.K.S. Iyengar.
Negli anni Settanta anche il governo dimostrò interesse per lo yoga, tanto da invitare in Unione Sovietica Dhirendra Brahmachari (ideatore del metodo Sukshma Vyayama). Mikhail Konstantinov, direttore del Centro Ashtanga Yoga racconta: “Lo scopo per cui fu invitato Dhirendra Brahmachari era l’introduzione delle tecniche yoga nella preparazione degli astronauti. Era un affare molto segreto e non poteva essere reso di dominio pubblico”.
Tuttavia alla fine degli anni Ottanta la situazione cominciò lentamente a cambiare e grazie all’attività di alcuni insegnanti lo yoga uscì dall’anonimato. In quegli anni a Mosca esisteva un laboratorio di studio delle metodologie non tradizionali di cura, nel quale lavorava l’ordinaria di Scienze psicologiche Elena Olegovna Fedotova. Il ministro della Salute la mandò in India con l’obiettivo di studiare gli stati di coscienza alterati. Soggiornò in una discreta quantità di ashram e scuole di Yoga in tutto il Paese e durante il viaggio conobbe B.K.S. Iyengar che portò in Russia alla prima conferenza sullo Yoga nel 1989. Fu un’iniziativa in cui le persone interessate alla disciplina poterono almeno conoscersi; prima infatti dovevano sempre rimanere nascoste.
La Fedotova naturalmente andò a prendere il guruji all’aeroporto. Pioveva, ma quando Iyengar uscì lei gli si gettò ai piedi, compiendo un tradizionale movimento di allungamento ma di fatto cadendo dritta in una pozzanghera e suscitando lo stupore degli addetti dell’aeroporto.
Grazie a Elena Fedotova lo Iyengar Yoga iniziò ad acquisire notorietà nell’Urss e in seguito nella Russia postsovietica. Maria Shiffers, insegnante di Iyengar Yoga, racconta: “Dopo la prima storica conferenza da noi iniziò a venire Faek Birija, il direttore dell’Istituto Iyengar Yoga di Parigi, per tenere dei corsi intensivi. È sorpendente, ma lo Yoga non era soltanto conosciuto, le persone morivano letteralmente dalla voglia di praticarlo e lo facevano in massa. Non c’era bisogno di nulla, mia mamma faceva Yoga utilizzando un comune mattone da costruzione al posto di quello di legno. Ai seminari allungavamo le gambe in posizione supta padangustasana con l’aiuto di cinture di pelle, i tappetini non c’erano e ci si sedeva su coperte di cotone”.
Oltre allo sviluppo dello Iyengar Yoga in Russia fece breccia anche il Kundalini Yoga. La direttrice del club “Sat Nam” Natalja Kuzmicheva spiega: “La prima volta yogin Bhajan arrivò nel 1989 e poi tornò nel 1992. Quella fu la volta dell’iniziazione di Jakov Marshak, il quale prima di fare la conoscenza del kundalini yoga si era occupato di disturbi della tiroide e del pancreas. Yogin Bhajan visse con il suo allievo Dajal Singh nella casa adiacente a quella di Marshak per una settimana intera e gli diede il nome spirituale di Guru Jivan Singh, ovvero Il Maestro Anima Liberata. Marshak si infervorò e, grazie alle tecniche del kundalini yoga, iniziò ad aiutare gli adolescenti vittime della tossicodipendenza stabilizzando le loro condizioni”.
Si può, quindi, concludere che dai primi libri sullo yoga alla comparsa dei primi insegnanti di yoga certificati il nostro Paese ha compiuto un lungo percorso, difficile e affascinante. È curioso che l’interesse per questa disciplina sia scoppiato agli albori del Paese dei soviet e divampato negli anni del tramonto dell'”impero rosso”.
Sempre la Kalac conclude che: “È difficile immaginarsi come e in quale direzione si sarebbe sviluppato il movimento Yoga in Russia se per lunghi anni non fosse stato praticato nella segretezza e nel pericolo, deteriorandosi seriamente per il limitato accesso alle fonti informative. Non è escluso che le origini del rapporto così timoroso nei confronti delle scuole tradizionali, della grande differenza del “nostro” yoga da quello, per esempio, americano (dove gli stili moderni si moltiplicano con invidiabile slancio), non sia da cercare proprio in quel difficile momento storico”.
Parlando di Russia non si può però non menzionare la vicenda “Bhagavad Gita così com’è processo in Russia”, iniziata nel 2011 con la messa al bando dell’edizione russa del testo, accusata di estremismo religioso. Il libro contestato era la traduzione e commento di AC Bhaktivedanta Swami Prabhupada , fondatore della Società Internazionale per la Coscienza di Krishna (ISKCON) o Hare Krishna.
Il processo avviatosi dalla Corte della remota città siberiana di Tomsk, nel giugno 2011, si basava sulle accuse di alcuni studiosi russi della Tomsk State University.
A portare in aula la “Baghavad gita” furono un gruppo integralista cristiano ortodosso, che presentò una denuncia con migliaia di firme per chiedere il divieto su tutto il territorio russo della traduzione e distribuzione del volume tradotto da Prabhupada. Si sosteneva che il testo portassero messaggi di intolleranza religiosa, sociale e razziale.
Il governo indiano criticò aspramente tali accuse “palesemente assurde” e messe in atto da “individui ignoranti e male indirizzati o motivati”. La censura nei confronti di un libro della tradizione vedica, considerato sacro in India scatenò le proteste pubbliche e l’avvio di azioni legali in India.
Tale mobilitazione costrinse i funzionari russi a scusarsi con il presidente Modi, promettendo nuove misure correttive necessarie per prevenire il divieto.
Alcuni studiosi russi sottoscrissero un appello che fu presentato all’allora presidente Dmitry Medvedev e al premier Vladimir Putin, con il quale avvertirono il governo delle conseguenze sulle relazioni tra i due paesi.
Nel dicembre 2011, il giudice respinse la causa in tribunale; il 26 gennaio 2012, l’ufficio del procuratore di Tomsk presentò appello contro la sentenza del giudice, che venne respinta, il 21 marzo 2012, dalla corte d’appello, confermando il verdetto del tribunale di grado inferiore.
Massimo Mannarelli (sedute di meditazione individuali e di gruppo)
Blog: Savitri Magazine
Sito: La via del meditante