L’etimologia della parola sikhismo si rintraccia nella parola sikh, che deriva dal sanscrito e che significa “discepolo“. La religione Sikh è stata fondata da Guru Nanak, nato nel 1469 nel villaggio Talwandi, oggi conosciuto col nome di Nankana Sahib, nella provincia del Lahore, ora nel Pakistan. Fin dall’infanzia la sua mente acuta si è sempre rifiutata di accettare tutti i riti senza fondamento, le superstizioni e i dogmi che a quel tempo venivano spacciati per religione. I sikh sono i devoti del Sri Guru Granth Sahib ji, le sacre scritture dei 10 guru che si sono succeduti dal 1469 al 1708 e di altri amanti del Creatore. Le scritture sacre non riconoscono il sistema delle caste e nemmeno approvano l’adorazione degli idoli, i rituali e le superstizioni. I sikh considerano venerabile solo la parola del Creatore rappresentata dalle Sacre Scritture dei guru. I guru sikh non hanno sostenuto la necessità della vita ascetica e dell’isolamento dal mondo per guadagnare la salvezza. Quest’ultima può essere raggiunta da chiunque si mantenga onestamente e conduca una vita normale. Non esiste un clero nel sikhismo. Ai sikh è proibito ogni tipo di dipendenza da sostanze, come l’alcol, tabacco e carne animale. Un sikh deve considerare la moglie di un altro uomo alla stregua di sorella o madre, e la figlia di un altro come sua. La stessa regola è applicata anche alle donne.
L’istituzione del “Langar” (cucina comune) serve a creare uguaglianza sociale fra l’intero genere umano. Essa è un luogo in cui persone di estrazione sociale alta e bassa, ricchi e poveri, istruiti e ignoranti, re e mendicanti, o di altre religioni condividono tutti lo stesso cibo, sedendo insieme in un’unica fila per terra per rappresentare l’uguaglianza tra i presenti. Quando parliamo del sikkismo, e’ doveroso citare l’antica arte marziale indiana, il Gatka. Essa ha origine dal 6° Guru del Sikh Dharma, Guru Har Gobind (1595-1645) e si proclamò detentore dell’autorità temporale (Miri) oltre che spirituale (Piri) e creò un esercito per difendere i sikhs e il popolo del Punjab contro il fondamentalismo dei Moghul. Codificata circa nel 1700 dal decimo guru “Guru Gobin Singh” la Gatka insegna l’arte di essere “Santo Guerriero”, che non impara quindi solo ad usare la spada, ma attraverso la spada, prende confidenza con la parte più preziosa del sé. Le popolazioni Sikh erano composte di gente pacifica, che pregava al sorgere del sole e lavorava la terra e commerciava durante il giorno; non hanno mai avuto mire espansionistiche e sono ricorsi all’uso delle armi solo per la difesa delle loro famiglie.
Il Gatka, rappresenta quindi non solo un’arte marziale, ma una tecnica per lo sviluppo spirituale dell’individuo, e come il Kundalini yoga, punta alla liberazione delle tensioni fisiche ed emozionali per la pulizia e lo sviluppo del corpo energetico. Come il Kundalini Yoga, la pratica del Gatka insegna il ritmo del respiro, il controllo del corpo e dello spazio interiore ed esteriore. Le due discipline hanno la stessa radice. Si può affermare che il Gatka sia un tipo di energia rivolta all’esterno dell’individuo, mentre il Kundalini Yoga sia rivolta al suo interno. Il paradosso è che il “meditante” dovrebbe avere l’attitudine del “guerriero” e il “guerriero” l’attitudine del “meditante”.
Ritornando al sikkismo, la discendenza dei Guru terminò a 10, però c’è l’11° Guru, il Libro Sacro. Durante le cerimonie, i seguaci si riuniscono per ascoltare le parole del Guru, il quale, viene trasportato sulla testa (perché non può toccar terra) dopo che il tempio viene pulito e lucidato a fondo ancor prima che l’ufficiante prescelto si svegli per i canti. Il codice di condotta Sikh è conosciuto come ‘‘Sikh Rehat Maryada’’ ed è basato sugli insegnamenti del Guru Granth Sahib e sulle tradizioni e convezioni Sikh. Queste regole intendono dare indicazioni per eseguire le cerimonie religiose e per rinforzare la disciplina della Fede in maniera uniforme in tutto il mondo. Nessun individuo o nessuna organizzazione, per quanto importante possa essere, ha il diritto di emendare queste regole o di forgiarne di nuove. Tale potere appartiene al Panth, cioè alla Comunità tutta intera, che agisce attraverso i suoi Cinque Beniamini (Panj Pyare). Qualsiasi regola che cerchi di sopraffare gli insegnamenti di base della Fede è “ultra vires”, al di là degli uomini. Secondo la religione Sikh, il legame matrimoniale è un sacramento – un’unione santa e non un contratto.“Non sono moglie e marito coloro che soltanto si siedono vicini; invece lo sono coloro che hanno un solo e unico spirito comune in loro” (Guru Granth Sahib, p.788). Il Sikhismo non crede nel celibato. La condizione matrimoniale e la vita di famiglia è considerata onorevole, naturale e addirittura ideale.“Oh mio spirito, mantieni distaccato anche nella vita famigliare, se tu pratichi la verità, trattieni il tuo desiderio e fai buone opere, il tuo spirito sarà illuminato dalla grazia del Guru” (Guru Granth Sahib p.26). Il matrimonio della coppia Sikh è solennizzato dalla circumambulazione del Guru Granth Sahib per quattro volte. Il prete, quindi, raccomanda alla coppia di modellare la loro relazione coniugale sul modello prescritto in questi quattro Shabad (inni). La stessa cerimonia, senza cambiamenti, è eseguita per il nuovo matrimonio di una vedova o di un vedovo.
Medita la parola di Dio, vivi onestamente e condividi con gli bisognosi ciò che è tuo è Sikhismo. La sacra letteratura del Sikhismo è chiamata Gurbani che significa la parola del guru – un messaggio melodico – come sancito dal Guru Granth Sahib. Nel Sikhismo, il Guru significa “La Parola” e non il corpo fisico. Dio ha rivelato il Bani attraverso il Guru ed esso lo condurrà, in definitiva alla sua fonte. Il Bani è il Guru e il Guru è il Bani. Uno che espone o spiega il Bani non è allo stesso livello di un Guru, può essere un insegnante o un semplice missionario. E’ Guru Nanak Dev ji, il fondatore della religione Sikh, nacque nel 1469 in un’era nella quale le continue invasioni, guerre, massacri, turbolenze stavano devastando il subcontinente asiatico sebbene l’India fosse governata dal Bahal Khan, il primo della dinastia Lodhi(1451-1526).
Guru Angad fu il successore del fondatore del Sikhismo, che lo scelse a preferenza ai suoi due figli perché Bhai Lehna – nome del secondo Guru prima di diventare Angad e un gran discepolo di Guru Nanak – era completamente immerso nel volere dell’Onnipotente e aiutava i più bisognosi e serviva tutti i devoti che venivano a trovare il suo maestro Nanak, ed era una persona molto umile. Guru Angad dimostrò di essere un degno successore alimentando la nuova fede con piena consapevolezza delle sue potenzialità e del contributo che potrebbe apportare per l’India, nonostante che il subcontinente fosse già sede di molte grandi religioni. Quando Guru Angad decise di porre fine alla propria esistenza terrena, il 29 marzo 1552, gli succedette Guru Amar Das ji, suo carissimo discepolo. Guru Amar Das diede la priorità al rafforzamento organizzativo della fede Sikh soddisfando le esigenze del sangat (congregazione dei fedeli) che iniziava a formarsi in gran numero in molte parti dell’India. Come il numero di fedeli aumentò, il Guru organizzò il sangat in ventidue manjis (circoscrizioni ecclesiastiche) che contribuirono a sviluppare la coesione e la continuità necessaria nella fede. Egli inoltre istituzionalizzò il concetto di langar, una cucina comunitaria aperta a tutti, indipendentemente dalla loro religione o casta. Guru Amar Das decise di lasciare l’esistenza terrena il 1° settembre 1547 e passò il trono di Guru a Ram Das, nato il 24 settembre 1534 a Chunna Mandi, il quale aveva impressionato il terzo Guru identificandosi totalmente con i principi e le finalità del Sikhismo.
Nessuno dei Guru usò la propria posizione di leader per condurre una vita privilegiata, anzi lavorarono sempre a fianco della congregazione nel langar, nella costruzione di nuovi luoghi di culto e quant’altro necessario da fare. Guru Ram Das diresse personalmente lo sviluppo della costruzione del Tempio D’Oro. Il suo primo passo fu di acquistare la piscina e gran parte del terreno circostante per la costruzione dell’Harmandir Sahib, la casa di Dio. Ciò che il quinto maestro, Guru Arjan Dev, nato il 15 aprile 1563, realizzò nei venticinque anni della sua gestione, si rivelò d’importanza duratura per il futuro del Sikhismo. Svolse un ruolo fondamentale nel rafforzare i tendini della fede. In linea con la convinzione di base Sikh che “non ci sono Indù o Musulmani, siamo tutti uguali agli occhi di Dio”, egli invitò un santo musulmano da Lahore a porre la prima pietra di fondamenta del Harmandir Sahib nel 1588. Guru Hargobind nacque il 19 giugno 1595 e aveva soltanto undici anni quando suo padre, Guru Arjan Dev ji si era sacrificato a Lahore per salvaguardare la religione Sikh. I contributi fenomenali del padre per la religione Sikh avevano fatto una profonda impressione sul figlio. Egli si rivolse per ispirazione alla forza mentale e resilienza mostrate dal padre. La prima delle vaste conseguenze del martirio di Guru Arjan Dev fu l’effetto di rivendicazione sul giovane Hargobind che decise di convertire una comunità, fino ad allora abituata a scopi pacifici e spirituali ed incapace di salvaguardare i propri diritti di fronte alle ingiustizie imperiali.
Har Rai successe a suo nonno, all’età di quattordici anni. D’indole diversa da Guru Hargobind, fu studioso, meditativo e immerso nelle Scritture. Aveva però un cuore d’acciaio, ed è stato risolutamente contrario a tutto ciò che gli sembrava una violazione della decenza umana. Ciò è dimostrato dal fatto che quest’uomo di pace prese una posizione inflessibile contro l’imperatore Moghul Aurangzeb, che avrebbe presto portato tutto il subcontinente indiano sotto il suo governo. Aurangzeb era un uomo crudele e dal pugno di ferro, incapace di perdonare chi lo affrontava a viso aperto. Per assicurarsi il trono, non ebbe scrupoli a finire i suoi fratelli e imprigionare il padre, l’imperatore Shah Jahan. Nonostante Ram Rai fu il suo figlio maggiore, Guru Har Rai scelse il suo più giovane figlio Harkrishan, di cinque anni, a succedergli quando lasciò il 6 ottobre 1661 a Kiratpur. Guru Harkrishan consolò i discepoli e chiese a loro di non disperarsi ma di attenersi alle volontà dell’onnipotente. Si era seduto sul trono, una piccola figura, giovane, però matura e molto saggia. I Sikh lo riconobbero come l’immagine del Guru Nanak. Videro sul suo volto la stessa luce presente su quello di Guru Nanak. Guru Harkrishan ebbe un’abilità rara nella spiegazione dei passaggi del Guru Granth Sahib. Affermava ai suoi discepoli la presenza di un unico Dio e chiese loro di imparare le virtù della pazienza, della carità e dell’amore.
Così Guru Harkrishan continuò l’insegnamento dei precedenti Guru mantenendo intatto tutto ciò che aveva ereditato da loro. Il nono Guru, Tegh Bahadur, che successe a Har Krishan, nacque il 1° aprile 1621. Era il più giovane dei cinque figli di Guru Hargobind. Anche se si era ritirato a condurre la vita di un mistico nel suo villaggio di sua madre Mata Nanaki, aveva talmente impressionato il padre con il suo coraggio e la valorosa condotta nella battaglia di Kartarpur che Guru Hargobind aveva previsto, con una precisione impressionante, che lui, e suo figlio dopo di lui, avrebbe reso orgogliosi i Sikh. Tegh Bahadur fu un accanito viaggiatore. A causa della mobilità dei cittadini alla fede Sikh, i suoi viaggi andavano da Delhi, Mathura, Banaras e Allahabad a Gaya, Patna, Dacca e Dhubri (in Assam). Fu a Patna che suo figlio Gobind – il decimo e ultimo Guru – nacque. Il suo ritorno a Chak Nanaki nel Panjab nel 1672 vide la fine dei suoi viaggi. Chak Nanaki in seguito guadagnò fama con il nome di Anandpur Sahib dopo aver costruito lì una formidabile roccaforte su un alto promontorio ai piedi dell’Himalaya nello stato di Bilaspur.
A quel punto però, il profilo di una grande tragedia stava cominciando a emergere, alimentato dall’intolleranza religiosa di Aurangzeb. Gobind Rai – nome del decimo Guru prima di salire al trono dei Guru – aveva soltanto nove anni quando suo padre, Guru Tegh Bahadur, si scarificò per salvaguardare la fede Indù. Come Guru prestò molta attenzione alla padronanza delle abilità sia fisiche sia letterarie. Ebbe un talento naturale per le composizione poetiche ed i suoi primi anni furono devolti assiduamente a questo. Molto del lavoro letterario di Guru Gobind Singh fu svolto a Paonta, luogo sul quale si era temporaneamente spostato nell’aprile del 1685. Per Lui la poesia era un mezzo per rivelare il principio divino e far concepire una visione del Supremo e unico Dio. Guru Granth Sahib è molto più di una sacra scrittura per i Sikh. Questo Granth è trattato dai Sikh come un Guru Vivente. Il testo sacro è composto di 1.430 pagine e contiene le parole pronunciate dai fondatori della religione Sikh (i dieci Guru del Sikhismo) e le parole di altri diversi Santi di altre religioni, tra cui l’Induismo e l’Islam. Nel 1708 Guru Gobind Singh Ji diede il trono di Guru al Guru Granth Sahib. Prima di lasciare la vita terrena, Guru Gobind Singh disse che i Sikh dovevano considerare il Guru Granth Sahib come loro prossimo Guru. In un Gurdwara, il Guru Granth Sahib costituisce la parte principale del Darbar Sahib, sala principale. Il libro sacro è posto su una piattaforma dominante ed è avvolto in un tessuto di pregio. La piattaforma è coperta da un baldacchino, che è decorato con materiali preziosi.