Meditare significa ponderare profondamente su un particolare soggetto, un argomento, un problema, e “yoga” è una parola sanscrita che significa: “congiungere”, “unire”. Quindi, la meditazione unita allo yoga consiste nel riflettere, pensare, contemplare come usare le nostre facoltà mentali ed intellettuali per unirci a qualcosa o qualcuno più elevato delle nostre stesse facoltà intellettuali e mentali.
Effettivamente, tutti i metodi di yoga genuini portano a questa unione. Ogni forma di yoga costituisce una scienza a sé stante e non è possibile spiegarla in uno spazio limitato. Per cui cercherò di approfondire un po’ il sentiero dello yoga che conduce alla bhakti.
La parola “bhakti” tradotta dal sanscrito significa “devozione”, “servizio”, “relazioni”, “amore”. Questo metodo della bhakti implica il canto di diversi mantra che sono invocazioni che evocano la presenza dell’Assoluto nel Suo aspetto personale. D’altronde non è possibile sviluppare una relazione, un affetto con ciò che è impersonale.
Gli antichi testi dei Veda spiegano che l’Assoluto ha sia un aspetto impersonale che personale, e definiscono l’aspetto personale come Colui che possiede una forma, che ha delle qualità, un nome, e compie delle attività.
La conoscenza che riceviamo da questi testi spiega che tutto ciò che concerne l’Assoluto è anch’esso assoluto. Così, la recitazione di alcuni mantra che definiscono il Supremo Trascendente con un nome particolare ha il potere di rivelarci ciò che è inconcepibile al nostro attuale livello di consapevolezza. L’unico ingrediente necessario affinché ciò avvenga è la nostra fiducia nel processo, e in Qualcuno che è più grande di noi e che ci ama di un amore più grande di quello che noi possiamo dare.
Questa è la via del bhakti yoga. La sua pratica è molto semplice ed efficace e non necessitano tempi e luoghi particolari. In questa forma di meditazione possiamo cantare i mantra in qualsiasi circostanza, nel traffico caotico delle città oppure nel silenzio della nostra stanza, in montagna all’aria aperta o nella stanza da bagno, non ci sono rigide regole. L’unico ingrediente necessario è la determinazione mossa dalla fiducia che, un giorno vicino o lontano, non importa, otterrò la realizzazione del mio cuore, di ciò che mi è profondamente caro.
Come due innamorati pensano costantemente al loro amore, questo è anche il fine della meditazione sulle vibrazioni dei mantra nel bhakti yoga. Dobbiamo innamorarci dell’Assoluto nella sua forma personale. Questo processo di realizzazione implica la conoscenza per lo meno teorica, intellettuale, della differenza tra il nostro corpo e ciò che dà la vita al corpo, la particella di spirito o anima, e dell’eterna relazione che esiste tra l’essere e la sua sorgente. Questi concetti sono le base della meditazione sulla via della bhakti, il cui sviluppo consiste nel praticare la via tracciata da grandi maestri autorealizzati. Semplicemente seguendoli possiamo gradualmente arrivare alla meta.
La Bhagavad Gita costituisce la conoscenza essenziale, fondamentale, su cui può essere costruito il palazzo della bhakti, che è costituito da diverse stanze. Lo sviluppo della nostra coscienza viene attuato dal canto dei mantra, che possono essere vibrati mediante una meditazione individuale, oppure in gruppo, anche usando degli strumenti musicali. Il canto collettivo dei mantra è anche più efficace poiché invocazioni e vibrazioni vengono moltiplicate. Le Upanisad (Kali Santarana Upanisad) raccomandano in modo particolare il Maha Mantra “Hare Krishna Hare Krishna, Krishna Krishna Hare Hare, Hare Rama Hare Rama, Rama Rama Hare Hare” per la sua efficacia. Coloro che cantano questo mantra sperimentano un livello di coscienza e beatitudine mai conosciuto prima. Il mantra agisce sui livelli fisico, mentale e spirituale. Il mantra attraversa il nostro DNA, va oltre i chakra, arrivando all’anima. Questo è il sistema più facile per giungere al più elevato livello spirituale.
Meditare sul vuoto o su una energia impersonale è certamente possibile, ma necessita di una grandissima concentrazione che, nell’era in cui viviamo (era della decadenza e dell’ipocrisia chiamata Kali Yuga), è al di là delle capacità umane e non è raccomandato ne praticabile con successo. Praticare il metodo yoga proposto da Patanjali Muni, fissando lo sguardo sulla sommità del naso, tentando di controllare la mente, è praticamente impossibile. La Bhagavad Gita spiega che il tentativo di controllare la mente mediante uno sforzo individuale è simile al cercare di controllare il vento, specialmente per coloro che cercano di praticare questa forma di yoga senza prima aver assimilato l’insegnamento primario di yama e niyama (accettazione di ciò che è utile all’evoluzione e rifiutare ciò che è di ostacolo).
Pur basandosi su questi stessi principi, il metodo della bhakti è più facile. Ci conduce alla realizzazione più elevata senza l’austera rinuncia che caratterizza le altre forme di yoga, in particolare l’astanga (yoga in otto fasi). Non ci si deve allontanare dal mondo, ma vivere la nostra vita permeandola di meditazione sui mantra in uno spirito di devozione e servizio incondizionato. La bhakti non implica la rinuncia al mondo materiale, ma usare ciò che è materiale per un fine spirituale. Dobbiamo essere “nel mondo”, ma non “del mondo”. Tutti noi apparteniamo al divenire, ad un altro “mondo”, dove non esiste l’ansietà, così prevalente su questo pianeta. Tutti noi siamo eredi inconsapevoli di un corpo di luce spirituale. Dobbiamo guadagnare questa consapevolezza della nostra vera essenza. E questa è bhakti, il ritorno alla nostra natura originale.
Om Tat Sat
Walter Montagner (Vasudeva Datta das)
Studioso dei testi vedici della bhakti (come la Bhagavad Gita e lo Srimad Bhagavatam), pratica ed insegna il bhakti yoga secondo la scuola Gaudiya Vaishnava da più di quarant’anni.