Sempre più studi mettono in evidenza la relazione tra lo stress (che affligge sempre più persone) e il buon funzionamento del sistema immunitario.
L’attenzione della medicina oggi è sempre più orientata allo studio delle realtà microscopiche che paiono avere un ruolo fondamentale su molte patologie. Si parla infatti sempre di più del microbiota intestinale.
Il microbiota intestinale altro non è che l’insieme dei microrganismi che popolano l’apparato digerente. Mediamente pesa circa 1,5 kg ed è composto da circa 500 specie di batteri diverse tra loro, divise in 45 generi e 14 famiglie: alcune sono utilissime, come il Bacteroides thetaiotaomicron, che aumenta enormemente la capacità dell’organismo di metabolizzare i carboidrati, altre invece possono diventare nocive, come il Clostridium difficile, la cui azione in genere viene arginata dalla presenza di altri microbi, ma che in alcuni casi può causare diarrea e febbre.
Già Ippocrate intorno al 400 aC sosteneva che la salute di tutto il nostro corpo dipendesse dalla salute del nostro intestino.
Numerosi studi negli anni ‘80-90 si erano focalizzati sull’asse cervello-intestino, dando all’intestino il soprannome di “secondo cervello”, in virtù della condivisione con il cervello della sintesi di molti neuromediatori importanti, tra cui la serotonina. A riprova di ciò si segnala che ci sono oltre 100.000.000 di nervi che rivestono l’intestino tanto che si parla addirittura di sistema nervoso enterico.
La formazione del microbiota dipende da molti fattori. Il parto, in particolare, sembra giocare un ruolo importante: pare, infatti, che quello naturale fornisca un miglior corredo di batteri rispetto a quello cesareo.
Sul corretto mantenimento del microbiota, invece, impattano in maniera determinante fattori come abitudini alimentari (ad esempio impattano negativamente il massiccio uso di glutine e zucchero raffinato) o uso scorretto di medicinali (soprattutto antibiotici).
Nel 2010, uno studio eseguito da alcuni ricercatori dell’Ospedale Meyer e del dipartimento di Farmacologia dell’Università di Firenze ha rivelato come alcuni bambini del Burkina Faso, abituati a una dieta quasi vegetariana e ricchissima di fibre, avessero nell’intestino una popolazione di microbi molto più ricca e varia rispetto a quella contenuta nell’intestino dei coetanei fiorentini, abituati a mangiare zuccheri, grassi, carne e molte meno fibre e soffrissero rispetto ai coetanei italiani molto meno di malattie autoimmuni non trasmissibili. La spiegazione di tale maggiore salubrità starebbe nel fatto che questo tipo di dieta darebbe origine a una maggiore biodiversità del microbiota. Si è anche osservato come nell’intestino delle popolazioni di “nativi” ancora presenti sul pianeta sono state trovate il 50% in più di specie di microbi rispetto a quelle contenute nell’addome di nordamericani ed europei. Viene quindi considerato molto importante per rafforzare il proprio macrobiota introdurre nell’alimentazione cibi ricchi di fibre (legumi, cereali integrali, frutta, verdura).
Ma non solo dall’alimentazione può venire un valido aiuto per sviluppare questo “organo”.
Un recente studio del 2017 condotto all’Università di New York in collaborazione con quella di San Diego e pubblicato sulla rivista Plos One, ha messo in evidenza la relazione tra rilassamento indotto dalla meditazione e salute del microbiota intestinale.
Lo studio ha posto l’enfasi sul fatto che a seguito del rilassamento derivante dalla pratica meditativa il microbiota produce acidi grassi a catena corta, che sono in grado di sopprimere i processi infiammatori aiutando a mantenere una corretta permeabilità della barriera intestinale. Se la barriera intestinale funziona bene infatti è in grado di filtrare correttamente le molecole buone (ad es. i nutrienti) dalle molecole cattive (batteri patogeni). Ma quando la permeabilità della barriera aumenta, come in condizioni di stress e infiammazione la sua funzione non è ottimale, allora si genera la disbiosi e tutte le patologie ad essa correlate.
Sempre su questa linea si muove anche una ricerca di Harvard datata marzo 2019 che ha dimostrato come la meditazione Mindfulness possa influire significativamente sui sintomi clinici dei disturbi gastrointestinali, sulla sindrome dell’intestino irritabile e sulle malattie infiammatorie croniche intestinali.
I pazienti si sono esercitati per soli 15-20 minuti al giorno praticando meditazione. La meditazione in qualche modo è riuscita a modificare l’espressione genica di 1.000 geni, inclusa la soppressione del complesso proteico NF-kB responsabile dell’accensione (infiammazione) del sistema immunitario e del tratto gastrointestinale. La meditazione sembra, quindi, disattivare efficacemente l’innesco genetico legato a tantissime malattie intestinali e non-intestinali (ansia, depressione, sclerosi multipla, autismo, morbo di Parkinson e altro), mentre cortocircuita l’infinito ciclo di risposta allo stress del corpo.
In particolare, la meditazione secondo i dati raccolti dal suddetto studio ha agito positivamente su:
- dolore addominale;
- diarrea alternata a stitichezza;
- gonfiore;
- flatulenza;
- senso di evacuazione incompleta.
Questo perchè il rilassamento regolare indotto dalla meditazione agisce su:
- consumo di ossigeno;
- frequenza cardiaca;
- pressione sanguigna;
- stress;
- ansia;
- infiammazione intestinale.
Tra l’altro questa relazione pare funzionare anche al contrario ossia il cambiamento della composizione del microbiota intestinale sembrerebbe ridurre i sintomi d’ansia nelle persone.
Un gruppo di ricercatori guidati da Beibei Yang, presso la Scuola di Medicina dell’Università Jiao Tong di Shanghai, in Cina, ha condotto una revisione sistematica di 21 studi, con coinvolte più di 1500 persone, il cui obiettivo era cambiare la composizione del microbiota intestinale di una persona per migliorare i sintomi dell’ansia.
Dei 21 studi analizzati, 14 hanno esaminato gli effetti dei probiotici (organismi viventi trovati naturalmente in alcuni alimenti), mentre i restanti 7 hanno esaminato approcci che non coinvolgono i probiotici, come cambiare la dieta di una persona.
Il team ha scoperto che 11 dei 21 studi (52%) hanno mostrato cambiamenti positivi sui sintomi dell’ansia attraverso la regolazione del microbiota intestinale. Solo 4 studi hanno riportato effetti avversi lievi come secchezza delle fauci e diarrea e nessuno ha riportato eventi avversi gravi.
Dalle analisi si è osservato che i cambiamenti alimentari possono avere un effetto più profondo sui microbi intestinali rispetto ai probiotici e questo perchè il cibo fornisce diverse fonti di energia per i batteri intestinali e quindi, secondo gli scienziati, cambiare la dieta può regolare le popolazioni batteriche.
A sua volta, il microbiota sviluppatosi va a giocare il proprio ruolo nella comunicazione cerebrale, essendo capace di inviare segnali direttamente dall’intestino al cervello attraverso svariati meccanismi:
- innervazione intestinale: i microrganismi sembrerebbero influenzare l’attività nervosa utile a determinare l’attivazione del sistema immunitario;
- produzione di metaboliti: tramite questi ultimi, il microbiota sembrerebbe in grado di influenzare lo stato infiammatorio, i livelli di triptofano e di acido kinurenico (neuroprotettivi). Inoltre, produce direttamente neurotrasmettitori come GABA e BDNF (brain-delivered neurotrophic factor).
E’ stato studiato come alcuni prebiotici siano così in grado di modificare l’espressione di geni specifici in zone chiave del cervello in grado di ridurre comportamenti ansiosi e depressivi.