Sono sempre rimasta un po’ contrita di fronte ai vegetariani che, pur non mangiando carne e facendo un eccellente – per non dire devoto – uso delle fibre vegetali, non disdegnano lo spiedino di gamberi, quando vanno al ristorante. Mi è capitato spesso. Nessuna pietà per quelle povere code rossicce infilzate l’una sopra l’altra e passate alla griglia da mani unte e laboriose. Sarà perchè le code di gamberi sono particolarmente buone e allora tutta quella teoria sulla vita, sulla terra, sull’ambiente, può essere messa da parte per qualche secondo. Un po’ come fanno proprio quei gamberi, che invece di camminare avanti, tornano indietro.
De gustibus, si sa. Eppure Yogi, vegetarianismo, veganesimo e code di gamberi stanno moooolto bene insieme, un po’ come diceva la canzone di Neffa, e molti Yogi vegetariani, contro la violenza, per la pace nel mondo, poi le code di gamberi se le mangiano. A volte con lo sguardo basso, a volte spudoratamente.
Del resto questo mondo è colmo di controsensi. Perchè lo Yoga – almeno di questi tempi – non dovrebbe essere da meno? Ma è davvero questo il punto quando pensiamo allo Yoga e all’alimentazione? Io credo di no.
Per lo meno, in un contesto così fumoso e contraddittorio una certezza c’è: Yoga e Alimentazione se la sono fatta sempre un po’ sotto braccetto, sin dai tempi antichi. Già nello Hatha Yoga Pradipika, in molti versi, si indica specificatamente che lo Yogi può ottenere le Siddhi (i poteri dello Yoga) – tra le altre cose – seguendo una dieta misurata ed evitando alcune sostanze che potrebbero risultare dannose per l’ottenimento degli stadi più elevati.
Sicuramente i tempi sono cambiati, e non è più possibile seguire completamente alla lettera i testi antichi, ma la moderazione e la consapevolezza di ciò che si mette sotto i denti restano – direi – più attuali che mai.
Oggi si parla molto di carne – e con carne intendo qualsiasi tessuto cellulare ormai privo di energia vitale che ci mettiamo sotto i denti, quindi anche le code dei gamberi – e del fatto che soprattutto per noi Yogi il suo consumo sia tassativamente proibito. I testi antichi ci rivelano che lo Yoga è fondamentalmente vegan. I Veda, i testi classici dell’Induismo, descrivono uomini e animali come manifestazioni di Dio in egual misura, pertanto ne proibiscono l’uccisione e quindi il consumo per il proprio profitto, compresa per la propria alimentazione. «Non dovete usare il corpo che vi è dato da Dio per uccidere le creature di Dio, siano esse umane, animali o altro» (YajurVeda, 12.32).
I Veda risalgono a migliaia di anni fa e secondo gli studiosi sono datati al XX secolo a.C., scritti all’interno di un contesto storico, culturale e soprattutto religioso molto diverso da oggi.
Oggi, nel 2020, perchè noi Yogi non mangiamo carne? Perchè sentiamo di voler osservare le sacre scritture induiste? Perchè vogliamo rispettare il principio di ahimsa, la non violenza descritta da Patanjali? Perchè crediamo in un’etica ambientale dove il consumo di carni animali danneggia il nostro pianeta? Perchè qualcuno ci ha detto che se facciamo Yoga dobbiamo per forza non mangiare carne? Perchè essere vegan, diciamolo, è diventata anche un po’ una moda? Perchè l’IARC (International Agency for Research on Cancer) ha classificato la carne rossa come probabilmente cancerogena e quindi come una delle sostanze più pericolose per la nostra sopravvivenza?
Ci potrebbero essere tanti motivi che, giustamente, ci spingono a non mangiare carne – code di gamberi comprese ovviamente – ma io credo che, prima di tutto, come Yogi dovremo essere consapevoli e fare una scelta altrettanto consapevole. O, per lo meno, provarci.
Molti Yogi affermano di non mangiare carne nel rispetto di ahimsa, la non violenza, secondo cui dovremo astenerci il più possibile dal compiere atti o pensieri violenti che possano quindi recare del danno a qualcuno (parole e idee comprese, naturalmente). Uccidere o far uccidere per il nostro fabbisogno giornaliero è sicuramente l’atto violento più grave che si possa compiere. Ma adottare questa scelta quando non si è veramente pronti a farlo, solo perchè ci viene imposto da una certa etica, non è altrettanto violento nei confronti di noi stessi?
Per essere veramente vegetariani o vegani non dovremmo esserne – prima di tutto – profondamente convinti e pronti? Pronti a sceglierlo? Altrimenti rischiamo di finire a mangiare code di gamberi al ristorante e allora, poi, non so se ha tanto senso.
Del resto ci sono molti modi per praticare ahimsa, come operare per qualche associazione di volontariato o, semplicemente, dare un bacio in più ai nostri genitori quando torniamo a casa a trovarli. Non pensate? Ahimsa, forse, esiste prima di tutto nei nostri cuori. Ed esiste senza giudizio. Anche se il tema del vegetarianesimo / veganismo è di quelli che scottano tra la community Yoga e il giudizio, il dito puntato, è sempre dietro l’angolo.
Ma quello della carne e delle code di gamberi è davvero il punto quando parliamo di Yoga e Alimentazione? Io credo di no. Credo che il punto sia la consapevolezza. La consapevolezza di ciò che sono in questo momento, senza alcun giudizio. Perchè il giudizio crea separazione e la separazione non fa parte di ciò che vorrebbe lo Yoga, il quale – ricordiamoci – esiste per principio di Unione e non di separazione.
Personalmente lo Yoga mi ha aiutato a essere più consapevole di ciò che mi metto sotto i denti e sicuramente ha sedato tutte le fluttuazioni mentali che la mia mente elaborava sull’essere ‘un po’ troppo in carne’. Ho ridotto drasticamente il consumo di carne, ma non sono ancora pronta a eliminarla del tutto, anche se sento di andare verso questa strada (nel frattempo cerco di praticare ahimsa ogni volta che mi è possibile nella mia vita quotidiana).
Lo Yoga mi ha fatto stare bene, in ogni senso possibile, e mi ha aiutato e chiedermi, ogni volta che metto qualcosa nel piatto, cosa quell’alimento può fare per me. E mi ha aiutato a essere consapevole di quell’apporto. Ogni volta che mangio carne mi chiedo sempre perchè lo sto facendo. Perchè mi sento debole? Perchè sento banalmente di averne voglia? E lo stesso vale per i dolciumi per cui di certo non c’è da uccidere, ma non si può dire che siano salubri per il nostro organismo.
Mi faccio domande e osservo. E questo mi permette di conoscere meglio la mia mente.
Da quando faccio yoga accade spesso che le mie azioni siano controllate dal mio pensiero. Mi chiedo spesso cosa la mia mente stia processando, interrogandomi sui motivi che mi spingono a fare certi pensieri piuttosto che altri. E questo può avere molto a che fare con il cibo. Istinto e fame a parte, sono spesso le nostre emozioni a scegliere un cibo piuttosto che un altro. Pensate alle palate di gelato o Nutella quando il fidanzatino del liceo ci dava il due di picche per la domenica pomeriggio al cinema, per esempio. Ma non solo. Molte sofferenze si riversano nel cibo scatenando disturbi alimentari anche molto gravi.
Ma se lo yoga ha a che fare con la mente e il controllo dei nostri pensieri, può aiutare la nostra mente a liberarsi dalle sue catene e, quindi, migliorare anche il nostro approccio con il cibo che, di fatto, è solo il sintomo di un problema più grande.
Recentemente leggevo un’intervista di Alanis Morisette, la famosa cantante canadese, che raccontava ai media come lo yoga e la meditazione le abbiano permesso di guarire completamente dall’anoressia. E Alanis Morisette non è di certo l’unica ad essersi affidata allo yoga per guarire dai suoi disordini mentali che poi si riversavano nel cibo. A tal proposito Jacque Vigne, psichiatra francese che vive da vent’anni in India e autore del libro «Anoressia e conoscenza interiore», propone nella sua densa e affascinante opera “un approccio umanistico a una malattia complessa”, indagandone le cause e proponendo interventi terapeutici che includono strumenti particolari.
Uno dei sottotitoli del libro, infatti, recita: “La giusta alimentazione è un problema di spirito?” e, spinto da questo quesito, Vigne indaga il rapporto con l’alimentazione e l’utilizzo del digiuno in ambito indiano e occidentale. Rifacendosi alla tradizione hindu, jaina e buddhista da un lato e alla tradizione cristiana dall’altro – nonché alla sua doppia esperienza di medico e di ricercatore spirituale -, l’autore mette in luce gli aspetti positivi e negativi delle restrizioni alimentari e delle finalità ad esse collegate.
Il soggetto anoressico, a prescindere dalle cause che ne hanno scatenato la patologia, nutre il desiderio di essere altro da quello che è e tenta di perseguire questa alterità negando la sua “consistenza” corporea e costruendosi un ego diverso.
Yoga, Alimentazione e Mente non sono quindi strettamente connessi? Io credo di sì e credo che il concetto di ahimsa, dell’essere vegetariani o vegani sia solo la punta dell’icerber. Un iceberg che ci permette di indagare la nostra alimentazione come un riflesso della nostra essenza, dei nostri desideri e dei nostri pensieri. Desideri e pensieri che lo yoga, non essendo solo mera attività fisica, ci aiuta ad accettare, elaborare e – talvolta – modificare.
Alla fine, dopo tutto questo viaggio che la locuzione Yoga e Alimentazione mi ha permesso di fare, investigandone in vari aspetti, credo che la risposta finale, benché non possa darne una giusta per ognuno, ma solo e a malapena per me stessa, sia la consapevolezza e lo stare bene.
Se lo Yoga ci fa stare bene rispettando Ahimsa, allora saremo nel concetto del qui e ora, presenti a noi stessi e felici. Oppure no, e saremo nel qui e ora ugualmente se ne siamo consapevoli. Perchè per quanto lo Yoga abbia risolto i nostri disturbi alimentari e fluttuazioni mentali, non saremo pronti ad accettare un totale cambiamento. Ma non vendiamoci per ciò che non siamo.
Accettiamo. Siamo consapevoli delle nostre scelte, anche di quello che ci mettiamo sotto i denti. Io credo che laddove lo Yoga porta felicità vada bene, a prescindere da etiche e giudizi esterni che non fanno bene a nessuno.
Il nostro corpo è il nostro Tempio. Amiamolo.
E se le code di gamberi ci piacciono, va bene. Ma accettiamolo e siamone consapevoli.
Mi hai dato molti spunti di riflessione. Grazie