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Tempo di lettura:21 minuti, 36 secondi

1. CHE STRESS

La nostra è una vita stressante.

La mattina, a svegliarci, è il suono della sveglia. Il driiin che, come un mostro famelico, interrompe i nostri sogni. Poi è corsa; ci alziamo, senza dare il tempo al nostro corpo di abituarsi al risveglio, la mente ancora confusa, e siamo già in cucina. La colazione è veloce, priva di pause, una merendina preconfezionata e un caffè troppo caldo. Poi siamo al bagno, di fretta ci laviamo, senza attenzione, senza riguardo. Siamo fuori, le chiavi dell’automobile ben strette in pugno. Saettando ci intrufoliamo nel traffico della metropoli e la metropoli ci accoglie con i suoi clacson e i suoi miasmi. Attorno a noi decine di automobilisti aspettano con il piede già pronto sull’acceleratore. I semafori ci fermano e ci indirizzano, il vigile fischia e la sua mano blocca il fiume di metallo che converge disordinato. Guardiamo l’orologio, ossessionati dal tempo, e sappiamo che il ritardo non è contemplato. Così ci uniamo al coro di proteste che si levano alte nell’aria, urla e gemiti e strilla e rimproveri. Quando parcheggiamo le nostre orecchie quasi non sentono più. In ufficio ci sediamo davanti alla nostra postazione, accendiamo il computer, sotto l’occhio vigile del principale, e ci colleghiamo. Rimaniamo lì, sprofondati, gobbi e ricurvi, a pigiare tasti e timbrare ricevute. Il telefono squilla e il rumore del fax ci accompagna per tutta la mattinata. A pranzo mangiamo un panino al volo, noi non mastichiamo, ingurgitiamo, e lo facciamo bevendo bibite gassate. Dobbiamo star su, sempre su. A malapena scambiamo due chiacchiere con i nostri colleghi. Mezz’ora dopo siamo di nuovo davanti al computer, vorremmo una pausa, vorremmo riposarci, anzi no, resettare il flusso di pensieri e informazioni. Ma non possiamo. Stanchi, ci alziamo dalla sedia, raccogliamo le nostre quattro cose e siamo di nuovo in macchina. È l’ora di punta e rimaniamo bloccati ore e ore, mentre la pioggia scende copiosa ed una patina di smog ingloba ogni cosa. Siamo a casa la sera e a malapena salutiamo la nostra compagna. Vorremmo parlare, prenderci un po’ di tempo per noi. Ma non possiamo, non c’è tempo.

Ci addormentiamo così, davanti alla tv accesa, già pronti per una nuova giornata.

2. L’ARTE DEL VUOTO

Non abbiamo tempo.

Non abbiamo mai tempo. Viviamo proiettati nel futuro con il rimpianto del passato. La nostra esistenza procede nella ricerca costante di quel che accadrà. Il nostro percorso di vita è tutto incentrato sul domani: studio per andare all’università, vado all’università per avere un buon lavoro, lavoro per la pensione e così via. Viviamo con un piede sempre spinto troppo in là. E nel frattempo galoppiamo. Noi corriamo sempre, anzi, neanche corriamo, saettiamo. La nostra è una vita densa e frenetica e non sappiamo più prenderci il nostro tempo, il nostro spazio.

Prendersi il proprio tempo non significa leggere un libro o guardare un film o osservare senza attenzione le immagini che scorrono sullo schermo della tv. Prendersi il nostro tempo significa fermarci. Rimanere nel vuoto, assaporare l’arte del silenzio. In una parola, centrarci. Ma la centralità, il rimanere soli con noi stessi, fa paura. Quando di notte, sotto le coperte, al riparo da tutto, nel silenzio della nostra stanza, indugiamo osservando i pensieri l’ansia giunge senza pietà e i problemi, la quotidianità, acquistano un peso inimmaginabile. Così ci rigiriamo sul letto, sperando di addormentarci il prima possibile.

Fondamentalmente la nostra è una società stressata. La frenesia della metropoli si ripercuote sul nostro essere.

Cosa fare allora?

Chiudersi in un monastero, o in cima alla montagna, in posizione facile, ascoltando il suono del silenzio?

Non è possibile.

Viviamo qui, ora, nella città, in occidente, in un paese industrializzato, dove la tecnologia è ovunque. Siamo sempre connessi, ventiquattr’ore su ventiquattro.

E va bene così.

Abbiamo tutto quel che ci serve, un alto livello di informazione e un’ottima condivisione dei saperi. Siamo nell’ora e non è pensabile, a mio avviso, fuggire da questo mondo. Dobbiamo rimanere qui, vivere qui. E dobbiamo farlo col sorriso. Bisogna imparare a prendersi i propri spazi, a rilassarsi, a trovare quel piccolo seme dentro di noi che, una volta germogliato, ci renderà felici e appagati.

Secondo Yogi Bhajan, che ha il merito di aver portato il Kundalini yoga in occidente, siamo entrati nell’Era dell’Acquario, un’era in cui dominerà la consapevolezza e l’energia, ma il passaggio dall’Era precedente, l’Era dei Pesci, non è dei più facili. Nell’Era che ci siamo lasciati alle spalle, compito centrale era quello di avere accesso alle giuste informazioni, ma la grande conoscenza sul potenziale umano era tenuta segreta, nascosta, riservata a pochi eletti; oggi, con la nuova Era, non ci sono segreti, le informazioni sono accessibili, la connessione è perenne. E questo ci destabilizza, ci sentiamo controllati, sempre fuori tempo; ogni azione può essere seguita e la nostra vita, per forza di cose, diventa sempre più caotica. Potremmo avere tutto e questo tutto ci fa paura. C’è “un senso di urgenza e di grande cambiamento nella nostra società, nella conoscenza e nella natura della nostra percezione del mondo e degli altri. Abbiamo sempre vissuto dei cambiamenti, ma raramente con questa intensità e velocità e mai di questa portata e vastità. Il cambiamento avviene allo stesso tempo, a tutti i livelli della vita. Non è sequenziale e ordinato così come ogni passo non è prevedibile. Colpisce ognuno di noi singolarmente1.

Tutto questo, inevitabilmente, crea stress.

Lo stress, l’ansia, l’iperattivismo, la depressione, sono i problemi della società occidentale, una società ipertecnologica e sempre connessa; un mondo che, fondamentalmente, corre.

Il nostro universo schizza frenetico sempre avanti e noi non riusciamo a inseguirlo. La mente dell’essere umano sembra aver perso il punto di equilibrio e di armonia. Ogni sfera dell’esistenza è messa in gioco. Swami Satyananda Saraswati nel suo testo “Yoga Nidra” dice: “Siamo così presi dalla sopravvivenza materiale che non siamo più consapevoli di ciò che accade”.

Non viviamo, sopravviviamo. Come se questa vita, nonostante tutti i suoi confort, fosse troppo difficile per essere vissuta. Nonostante l’alto livello di benessere, i nostri lussi e la nostra assoluta comodità, non ci sentiamo felici. Siamo affaticati, depressione e malattie psicologiche, collegate alla fatica, stanno raggiungendo dimensioni inimmaginabili. Secondo la rivista “The Annals of Internal Medicine” fatica e stress sono due delle principali ragioni per cui si chiama un medico. Dalla fatica poi nascondo altri mille disturbi: insonnia, ansia, insicurezza, perdita del controllo, alienazione, mancanza di senso dell’equilibrio. Siamo un popolo di stressati, anche le persone più allegre e intelligenti nascondono i loro scheletri anche i bambini parlano già di stress ed ansia. Abbiamo bisogno di tenere tutto sotto controllo e se qualcosa ci sfugge di mano ci sentiamo persi. La sera, prima di andare a dormire, andiamo ad ispezionare la cucina. Controlliamo tre volte che la manopola del gas sia ben girata, che il frigorifero sia chiuso, che le luci siano spente, che ogni cosa sia in ordine. Poi nella nostra stanza siamo costretti a rialzarci, per ispezionare di nuovo. Tutti abbiamo le nostre manie, i nostri piccoli controlli da fare.

Io credo che dobbiamo imparare a lasciare andare.

La filosofia yogica parla di tre tipi di tensione basilari, che sono responsabili di tutte le sofferenze della vita moderna:

  • Le tensioni muscolari: sono quelle connesse con il corpo, il sistema nervoso e gli squilibri del sistema endocrino.
  • Le tensioni emozionali: emergono dalle molte dualità quali amore/odio, guadagno/perdita, successo/fallimento, felicità/infelicità, ecc… sono date dalla nostra incapacità di esprimere le nostre emozioni liberamente e apertamente. A volte ci rifiutiamo addirittura di conoscerle e, di conseguenza, le reprimiamo.
  • Le tensioni mentali: sono il risultato di un’eccessiva attività mentale. La nostra mente è un vortice di pensieri, fantasia, confusioni, oscillazioni, visualizzazioni. Alle volte queste cose, le nostre esperienze, esplodono come una bomba andando ad influenzare il nostro corpo, la nostra mente, i nostri comportamenti e le nostre relazioni. Abbiamo, in definitiva, un accumulo di tensioni nel piano mentale 2.

In fondo siamo solo stanchi. E questo ci distrugge. Respiriamo male, di corsa, senza pause. O non respiriamo proprio, siamo capaci di rimanere in apnea senza rendercene neanche conto, il nostro cuore batte all’impazzata per un niente; siamo sempre all’erta, ogni istante, le antenne dritte, l’adrenalina che schizza da tutti i pori; oppure siamo gobbi, mortificati davanti ad un portatile, diciotto ore al giorno fermi a fissare un computer. Siamo pallidi, scavati, magri, grassi, anoressici, obesi.

Come fare?

Come trovare il tempo per noi?

Come svegliare l’enorme potenziale assopito che alberga nel nostro essere più profondo?

Dovremmo imparare a fermarci. Dire «Stop».

Stop.

Allontanare i pensieri, le ossessioni, le ansie. E dopo allontanare anche le cose positive. Cacciare via ogni grammo di pensiero. Rimanere nel Vuoto per imparare ad ascoltarci. Buttare fuori, attraverso l’espirazione, ogni cosa. Dovremmo stare dritti, composti, la colonna vertebrale ben tesa, ma il resto del corpo totalmente rilassato. Dovremmo chiudere gli occhi e assorbire il suono del silenzio.

Insomma, prenderci il nostro tempo. Ci spetta di diritto, impariamo a reclamarlo.

3. UN PERCORSO

Come prima cosa dobbiamo re-imparare a respirare.

Abbiamo due tipi di respiro, uno grossolano, un altro sottile. Quello grossolano è la miscela di ossigeno, azoto e altri elementi che costituiscono l’aria; quello sottile è la forza vitale che energizza il tutto.

Il respiro controlla ogni cosa, gli umori, la concentrazione, la creatività, le emozioni. Imparate ad ascoltare il vostro respiro.

Prendete una situazione di agitazione, un colloquio di lavoro ad esempio, o una verifica a scuola, o il momento prima di salire sul palco di un teatro, sentite il vostro respiro, la sua velocità, quanto ossigeno arriva il cervello, quanto fa battere di corsa il vostro cuore.

Ora cercate di rallentarlo. Diventatene consapevoli. Sentite nell’inspirazione l’aria fresca che passa dalle narici, osservate con gli occhi della mente come entra nel corpo, il percorso nei polmoni, ecco, diventano grandi, forti; rimanete quell’attimo, un istante soltanto, nel vuoto dell’apnea positiva, nel silenzio del respiro, e poi espirate, portate l’ombelico in dentro, come se volesse toccare la colonna vertebrale, e fatelo salire su, fino alle narici, sentite come lenta e profonda esce l’aria trasformata, calda, pronta per essere donata agli altri. Respiriamo aria già respirata, conferiamo energia e forza privata, personale, da condividere con tutti. Respirate dal naso che filtra, riscalda e umidifica l’aria. Le narici sono direttamente collegate alle nadi Ida e Pingala, dove passa il prana, la forza vitale, l’energia sottile che muove ogni cosa.

La maggioranza delle persone non respira in modo corretto, ma come possiamo vivere in armonia se non sappiamo respirare? L’elemento fondamentale per una buona dose di rilassamento è il respiro. Imparando a respirare impareremo a scoprire noi stessi.

Rilassarsi non è semplice, è un’arte. Rilassarsi non significa distendersi su una poltrona a bere una birra. Il vero rilassamento è un’esperienza unica, che va oltre il materiale. Non dobbiamo spengerci, vivere passivamente gli eventi. Bisogna mantenere la consapevolezza per rilassarsi veramente, far funzionare la coscienza. Anche per questo la pratica dello yoga è, a mio avviso, fondamentale. Bisogna muoversi, allenare la mente ed il corpo e solo dopo rilassarsi mantenendo attiva, dinamica, la consapevolezza. Nel rilassamento possiamo fare yoga nidra, lo yoga del sonno, e lavorare con le campane tibetane.

Una buona tecnica di yoga Kundalini ci spingerà verso il giusto abbandono, elevando la nostra consapevolezza ad uno stadio più alto e penetrando in profondità l’animo umano.

Quello del Kundalini yoga è “un sentiero lento, sempre in salita, di trasformazione di sé proprio perché ha la pretesa di essere una via diretta ed effettiva verso la conoscenza del Sé e di Dio e richiede (…) una dedizione totale 3.

Impariamo a conoscere il nostro sé, ad andare oltre le apparenze, oltre i pregi e i difetti, concentriamoci sul sesto chakra, il punto tra le sopracciglia, controlliamo il prana attraverso il respiro e contemporaneamente facciamo salire l’energia dal basso, dal perineo, all’altezza del primo chakra. Tramite determinate asana (le posture del corpo) dirigiamo queste energie verso l’alto. Lavoriamo duro per ottenere risultati sia sul piano fisico che su quello mentale. Corpo e mente si influenzano sempre, sono un tutt’uno e le filosofie orientali ce lo insegnano fin dalla notte dei tempi. Ogni movimento, ogni azione, ha la sua qualità spirituale corrispondente. Abbandoniamoci allo yoga e lo yoga si abbandonerà a noi. Vedremo come le posizioni si adattano al nostro corpo e non viceversa. Durante il kriya ci lasceremo andare, lontani dalle imposizioni del nostro mondo, dalla frenesia e dalla corsa, impareremo a prenderci un attimo solo nostro, senza interruzioni, lavoreremo per smussare il nostro ego e lasciar correre via i pensieri, sciogliendo la corda che ci lega alla costante attenzione al ticchettio della frenesia. Una volta che saremo liberi da tutto ciò, senza più muri ad ancorare il nostro percorso, potremo rilassarci.

Come un percorso inverso rivolgiamoci alla nostra interiorità.

L’uso delle campane tibetane in questo potrà esserci di grande aiuto. Tramite la mia modesta esperienza ho scoperto come, questi antichi strumenti, possono spingerci più in là, liberando mondi che parevano sconosciuti. Anche quando, durante il massaggio sonoro, crediamo di dormire le campane agiscono, lavorando sul nostro Sé interiore, che rimane attivo e consapevole.

Le campane tibetane fanno parte della tradizione, sono un mezzo antichissimo di congiunzione tra l’uomo e i pianeti, tra l’Interno e l’Esterno, tra il finito e l’infinito. Ripuliscono i nostri blocchi bombardandoli di vibrazioni. Possono guidare la nostra mente, come il cocchiere di un carro, verso destinazioni insolite e appaganti. “Armonizzano l’uomo con il cosmo 4. Sono forgiate con una lega di sette diversi metalli: oro per il Sole, argento per la Luna, mercurio per Mercurio, rame per Venere, ferro per Marte, stagno per Giove, piombo per Saturno.

Nel silenzio della sala, distesi sul nostro tappetino, in uno stadio tra il sonno e la veglia, lo strofinare del batacchio sulla campana creerà in noi un profondo abbandono.

Dove stiamo andando?

Fin dove siamo disposti a spingerci?

Ci concentreremo allora sul suono e sentiremo il corpo scivolare via, mentre il nostro sé entra in uno stato di meditazione profonda, nell’immobilità impareremo ad avvertire i movimenti più sottili, invisibili, primordiali. Rilasseremo i muscoli, il battito del cuore, e ci lasceremo andare.

4. VIBRAZIONI

Per ottenere un buon risultato e andare a creare una forma di rilassamento meditativo dobbiamo però fare un po’ di ordine, provando ad aggiustare quel che non va in noi. Sia lo yoga che le campane tibetane lavorano sui chakra, un vero e proprio modello filosofico dell’universo suddiviso in sette livelli. Chakra significa ruota, il chakra è un disco energetico che lavora su varie parti del corpo e della mente. Di chakra ce ne sono tantissimi, ma i più importanti sono sette, posti sulla colonna vertebrale, delle spirali di energia che partono dal perineo e arrivano fino alla sommità della testa.

Fondamentalmente i chakra non esistono, non sul piano puramente materiale, non si vedono, se sezioniamo un essere umano non troveremo nessuna ruota, nessun disco e nessun vortice. Ma i chakra sono lì, sottili e invisibili, e agiscono come agisce l’aria. Il suono ad esempio è invisibile all’occhio umano ma c’è. Così sono i chakra, che non possono essere consideratioggetti fisici e tuttavia hanno un forte effetto sul corpo, poiché costituiscono la realizzazione dell’energia spirituale sul piano fisico5. Come le emozioni possono cambiare il nostro respiro e la nostra postura, allo stesso modo i chakra influenzano il corpo, il pensiero e il comportamento.

I chakra, tutti insieme, formano una strada, una scala, che unisce le polarità tra il cielo e la terra, tra la mente e il corpo, tra lo spirito e la materia. Allo stesso modo agiscono le campane, che ci uniscono con ciò che è più in alto. Possiamo, attraverso la pratica dello yoga e l’uso delle ciotole tibetane, andare ad armonizzare i nostri chakra.

Chi di noi non si è mai sentito bloccato? Quante volte non siamo riusciti a parlare in una situazione pubblica? Quante ci siamo sentiti impauriti, confusi, inadeguati, insicuri? Quante volte abbiamo creduto di non farcela, come se il mondo intero ci remasse contro, persi in missioni che sembravano impossibili? Ogni cosa torna ai chakra, se ci sentiamo a terra e il nostro fisico ne risente abbiamo un blocco nel primo chakra, se siamo privi di volontà potremmo dire che il nostro terzo chakra è bloccato, se non riusciamo ad aprirci agli altri forse dovremmo occuparci del quarto chakra. Un buon lavoro sui chakra permetterà un perfetto stato di rilassamento, riusciremo a lasciar andare le paure e le tensioni, liberandoci dalle nostre armature. Le armature sono un gran problema, ce le portiamo addosso da una vita, come una maschera ben collaudata, e per scrollarle via il lavoro che dobbiamo fare è intenso. Dovremo imparare ad accettarci. E non è facile.

Il corpo umano è un insieme di onde e vibrazioni e se i meccanismi sono sani vibrano ad una giusta frequenza, dobbiamo quindi accordare il nostro corpo. Così facendo andremo ad armonizzare i nostri chakra. Le vibrazioni delle campane tibetane richiamano le giuste frequenze, la frequenza dell’universo, e il corpo entra in sintonia con questo ritmo andando ad incidere sul corretto funzionamento dei chakra; con le vibrazioni del massaggio sonoro potremo contribuire allo scioglimento delle armature accumulate negli anni forgiate da piccoli e grandi traumi.

Mauro Pedone suggerisce: “Qualche momento di rilassamento e concentrazione sarà utile per favorire un migliore ascolto. Lasciando riposare gli occhi e portando l’attenzione al respiro per il tempo che si riterrà necessario. Avendo trovato uno spazio tranquillo e silenzioso possiamo provare la tecnica della pulizia dei chakra. Si terrà la ciotola nella mano sinistra, con le dita ben distese. In modo che la ciotola possa aderire completamente al palmo e si inizierà a passare il batacchio di legno sul bordo, in senso orario. La vibrazione che lentamente salirà di intensità stimolerà tutto il corpo. Le mani sono i canali attraverso i quali ci relazioniamo all’energia dell’universo”.

Ora che siamo totalmente allineati, adesso che abbiamo iniziato a sradicare le nostre armature, siamo pronti a rilassarci. Quando il rilassamento è completo, la percettibilità è maggiore. Siamo in grado di accogliere più cose, come un bicchiere svuotato dall’acqua sporca. Siamo una casa che piano piano viene messa in ordine. Le campane sono la nostra scopa. Nel rilassamento spazziamo via rancori e abitudini e ci prepariamo al nuovo con maggiore apertura. La mente conscia (manovrata dall’intelletto, dalle esperienze, dalla società, dalla logica) scivola via per lasciare spazio al subconscio. Il subconscio, libero da imposizioni, non può rifiutare le informazioni, semplicemente le assimila. La vibrazione della campana diverrà allora come la parola e andrà ad impiantare un seme. Il suono, agendo su una mente libera, creerà immagini e dimensioni, ci porterà lontani e andrà a liberare qualunque tensione. Potremmo avvertire profumi e i ricordi potrebbero arrivare senza un ordine preciso, storie passate che credevamo perdute. Ricorderemo lasciando scorrere, come un film visto al cinema. Nel buio della nostra sala ci perderemo per poi ritrovarci, in questo stato fra il sonno e la veglia. La campana, nel tempo, scaverà in profondità, andando a pescare esperienze passate e condizioni extracorporee; ci sentiremo liberi e lontani, quasi come se stessimo sognando. Saremo allora incredibilmente vicini al Tutto, all’Infinito finalmente scoperto dal velo di Maya. Per un attimo solo potremo ricongiungerci a qualcosa di più grande. Con un’esperienza così non solo ci rilasseremo, ma andremo a ristrutturare la nostra personalità. Capiremo allora che la separazione è un’illusione, che siamo un tutt’uno. Le vibrazioni andranno a toccare zone corporee assopite proiettando immagini nel nostro schermo mentale, queste immagini sono le chiavi per accedere alle nostre barriere/armature. Con le chiavi ben strette apriremo il lucchetto di quelle entrate che Aldous Huxley, citando William Blake, definisce le porte della percezione.

A tal proposito proprio Huxley circoscrive il nostro cervello ad una sorta di filtro sempre attivo, giorno e notte, una macchina che lavora tutto il tempo. Ed è sempre il cervello quella porta che deve essere purificata. Con lo yoga e le campane tibetane possiamo, durante un rilassamento profondo, andare a scardinare il conosciuto per entrare in contatto con la nostra Anima, collegata al Tutto, e abbandonandoci ad un rilassamento attivo lasciando scorrere la nostra coscienza liberamente.

Ho trovato numerose affinità tra le campane tibetane e lo yoga nidra. Entrambe le tecniche indirizzano il loro potenziale su un profondo stato di rilassamento. Dormire senza dormire, rimanere nel torpore, un torpore attivo, sveglio, con una profonda traccia di consapevolezza, uno stato mentale in bilico tra il sonno e la veglia. Attraverso l’uso di questi due potentissimi strumenti, daremo la possibilità al nostro essere di penetrare in profondità, un vero e proprio viaggio nella mente umana. Riusciremo ad andare oltre le nostre limitazioni, non lottando contro la nostra natura, fatta di difetti e di imperfezioni, ma piuttosto accettandola. Le campane giungeranno in nostro aiuto correggendo e modificando, attraverso le vibrazioni, i difetti. I nostri difetti non possono essere eliminati, però possiamo accettarli. Nel rilassamento più totale, ascoltando le parole dell’insegnante e il suono della campana, potremmo così scavare in profondità, per scoprire e accogliere il nostro Io.

Le piccole e grandi manie hanno profonde ramificazioni, che creano altri problemi e guai; piuttosto che guardare al ramo dobbiamo arrivare alla radice. Il nostro viaggio nel subconscio ci permetterà, attraverso una pratica che non si conclude in una giornata, di trovare quell’albero e di lavorare proprio sulle radici. Swami Satyananda Saraswati ci insegna che non dobbiamo concentrarci per trovare il problema, piuttosto bisogna imparare a lasciarci andare. Nel rilassamento diventeremo ricettivi e pronti, senza i blocchi del nostro Super Io, per affrontare i nostri demoni. Andremo oltre allora il concetto di buono/cattivo, bello/brutto, giusto/ingiusto. Non giudicheremo.

Ogni giudizio è dato dalla nostra capacità di incasellare; nella Mente Neutra, la mente più elevata, congiunta direttamente al Tutto, andremo oltre queste dualità. La Mente Neutra non giudica, è intuitiva, agisce nel modo migliore. Ci rende coscienti di quel che siamo, non ha insicurezze, è davvero la congiunzione alla nostra Anima. La Mente Neutra ci permetterà di vedere le cose all’interno di un quadro più grande. Ma per farlo, per arrivare a questo stato, bisogna lasciarci andare. Lasciarci andare totalmente a noi stessi. Allora, una volta risvegliati, cominceremo a vedere che tutto è perfetto, proprio così com’è, e che ogni momento della nostra vita contiene una lezione importante. Impareremo ad accettare gli eventi, a superarli e a crescere.

Nella realtà della vostra struttura ed esistenza, la mente vi è data affinché possiate agire, esprimere e sperimentare voi stessi in questa creazione. Anziché addestrare la mente e servirvi della sua forza, siete diventati schiavi della mente. Il vostro corpo non fa nulla di sbagliato e la vostra anima neppure. È un vero peccato che un essere umano non riesca a raggiungere la Mente Neutra (…) vi manca la chiarezza e la certezza della vostra anima6.

Dobbiamo trovare il nostro punto di contatto. Durante la nostra pratica lasciamo andare ogni cosa, mantenendo la consapevolezza solo attraverso l’udito, gli altri sensi lasciati inoperanti. La coscienza non deve agire con l’intelletto, ma deve essere privata di tutte le associazioni dei sensi, tranne che dell’udito. L’udito ci terrà svegli, nonostante la sensazione sarà quella di dormire… se anche il sonno prendesse il sopravvento non concentriamoci troppo, non torniamo sull’attenti, piuttosto addormentiamoci, consapevoli che nel nostro inconscio, attraverso la vibrazione delle campane, una parte di noi rimarrà sveglia. Potremmo sognare allora e attraverso il sogno il nostro cervello verrà ripulito dalle troppe informazioni ricevute. Lo stress, la frenesia, l’ansia scivoleranno via tramite lo strofinio del batacchio sul metallo. Solo poi, forse, proprio nel sogno troveremo le risposte ai nostri dubbi e alle nostre incertezze.

Io credo in conclusione che una parte del lavoro con le campane tibetane sia proprio incentrata sulla nostra capacità di rilassarsi. Abbiamo visto come il rilassamento è un processo lento e graduale e che non basta bere una tisana la sera davanti ad un buon libro per potersi riposare.

Imparare a rilassarsi, nella nostra società, è una delle cose più difficili da fare. Ma se ci riusciremo, tutto apparirà più chiaro e la nostra consapevolezza, la consapevolezza dell’Io, degli altri e della realtà, andrà finalmente a svilupparsi. Al nostro risveglio poi, una volta aperti gli occhi, il mondo apparirà più leggero e non potremo, forse con un minimo di imbarazzo, evitare di sorridere al Vuoto, all’essenza stessa della nostra vita.

Simone Sestieri (Raj Ardas Singh)

BIBLIOGRAFIA

NOTE

1 AA. VV. L’insegnante dell’Era dell’Acquario, Ikyta Italia, p.4

2 Swami Satyananda Saraswati, Yoga Nidra,Yoga Publications Trust, p. 12

3 Lothar – Ruediger Luetge, Il Risveglio della Kundalini, Le vie del Dharma, p. 42

4 Mauro Pedone, Massaggio sonoro con le campane tibetane, Edizioni Mediterranee, p. 15

5 Anodea Judith, Il libro dei chakra, Edizioni Neri Pozza, p. 16

6 Yogi Bhajan, La Mente, edizioni E/O, p. 75

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