Diverse sono le motivazioni che ci portano in sala.
Le strade da cui proveniamo sono tutte diverse, ma in genere c’è un aspetto che accomuna molti di noi (me compresa), noi che abbiamo deciso ad un certo punto della nostra vita di avvicinarci alla pratica, ed è l’aura di benessere che circonda tradizionalmente la disciplina.
Lo yoga viene spesso posto come una cura universale per gran parte delle piccole e grandi indisposizioni della nostra società, una sorta di panacea di tutti i mali, che si incastra in modo opposto e complementare al ritmo insano e forsennato con il quale noi viviamo le nostre giornate da occidentali.
Hai mal di schiena? Yoga
Hai la gastrite? Yoga
Sei depresso? Yoga
Sei stressato? Yoga
Sei stanco? Yoga
Sei troppo agitato? Yoga
Tutto vero ma…. c’è un ma.
Permettetemi un piccolo excursus su cosa EFFETTIVAMENTE è lo yoga.
Nato come un grande sistema di vita e scelte individuali, uno stile di vita che tradizionalmente si ritiene porti ad una evoluzione fisica e mentale dell’essere umano, mantenendo il corpo sano, la mente calma e le nostre interazioni con il prossimo pacifiche, lo yoga è entrato prepotentemente nella nostra società occidentale, portando con sé una promessa di equilibrio e salute che a noi manca decisamente.
Visto globalmente, lontano dalla interpretazione semplicistica delle palestre occidentali, che pongono tutta l’attenzione sul corpo e zero sulle altre componenti del sistema, lo yoga, quale che sia lo stile che scegliamo tra i molti disponibili, è un metodo per condurre una vita pacifica grazie alle osservanze ed alle astinenze (yama e niyama), per mantenere una salute di ferro, grazie agli asana (le posizioni) ed agli esercizi di pranayama (controllo del flusso vitale, il respiro), per mantenere la calma e la neutralità della mente, grazie alle pratiche di pratyahara, il ritiro dei sensi all’interno, che apre la strada alle più impegnative ed avanzate pratiche di meditazione, dharana (concentrazione), dyhana (meditazione) e samadhi (totale assorbimento).
Sono 8 rami dello stesso grande albero, un meraviglioso albero da coltivare, che durante i lunghi anni della sua crescita ci assicura forza, flessibilità, un sistema immunitario di ferro, la capacità di razionalizzare i momenti difficili, la capacità di affrontare le sfide, di superare gli ostacoli.
Per funzionare la pratica deve essere portata nella nostra vita non solo sul tappetino, ma anche a tavola, in macchina, al lavoro.
Fare yoga significa impegnarsi ogni giorno a vivere senza ferire gli altri o noi stessi, avendo cura del nostro corpo, muovendoci un po’ ogni giorno senza indulgere alla pigrizia, respirando bene e con attenzione anche per pochi minuti al giorno, anche in fila al semaforo.
Significa avere coscienza e controllo delle oscillazioni della propria mente.
Ed ecco qui il “ma” di cui parlavamo prima.
La promessa dello yoga, come cura dei nostri disturbi grandi e piccoli, porta con se una grandissima insidia, ed è l’impazienza tipica di noi esseri umani.
Noi vogliamo tutto e subito.
Mi è capitato sorprendentemente spesso di vedere allievi lasciar perdere la pratica dopo nemmeno un mese di lezioni, pretendendo risultati miracolosi in poche lezioni – senza un minimo di costanza, senza fare spazio fra i loro apparentemente innumerevoli impegni per un’ora di attenzione a sé stessi.
Tutto e subito, il massimo risultato con il minimo sforzo – tipico di noi occidentali.
Lo yoga non funziona in questo modo, non è una pastiglia che mandiamo giù e cura ogni cosa.
Lo yoga richiede impegno, richiede costanza e grandissima forza di volontà richiede anni di pratica quotidiana, sforzarsi di fare riferimento alla pratica in ogni momento, nei periodi semplici ed in quelli più difficili.
Lo yoga richiede di essere messo al primo posto, di fare spazio tra gli impegni anche per pochi minuti – è lì, in quello spazio, che lavora e funziona.
Altrimenti, nulla da fare, non funzionerà mai.
Dunque, è vero che lo yoga cura?
Si, è decisamente vero, parlo per mia esperienza diretta – ma cura alle sue condizioni.
A condizione di farne una priorità, di avere pazienza lungo il viaggio, di avere costanza, di scegliere lo stile che fa per noi, di rallentare quando serve e spingere al momento giusto.
Questo non significa che se iniziamo a praticare dovremo ritiraci in Tibet a digiunare e fare vita di asceti.
Significa che nella nostra vita dovremo fare dello spazio – spazio per respirare, per osservare, per muoverci, per scardinare quel sistema malato di corse e impegni che ci scollega completamente da noi stessi.
Ognuno di noi ha un lungo percorso davanti.
Non c’è posto per la fretta, per l’impazienza, per la ricerca ossessiva dei risultati.
C’è posto solo per la tolleranza, l’accettazione, la disciplina.
Nessuno ha mai detto che sarà facile, di certo ti assicuro che ne varrà la pena.
Namaste
(anasa nella foto: Matsyasana – il Pesce – “curatrice di tutti i mali”)
Linda Renzi
FB E IG @lindayogateacher
Vieni a praticare con me al Savasana Studio in Via Carmelo Maestrini 146, zona
Roma Eur. Corsi di Hatha, Vinyasa e Yin Yoga, classi multilivello aperte a tutti.
FB E IG @savasanastudio
la nostra vita…….. è una e va protetta, amata e rispettata
roberta
Brava bella riflessione, ciò che cerco di trasmettere ai praticanti è propio questo. Ciao…Stefania.